Shel Shapiro: «Non è una bella società»

Oggi al Teatro Miela concerto del cantante simbolo della generazione del ’68: «Fu una rivoluzione»

TRIESTE. Che società è quella uscita dal 68? A dare una risposta in musica (con brani che coprono l’intero arco di quegli anni fino all’inizio dei’70) stasera alle 21 al Miela con il concerto “Sarà una bella società” – organizzato da Bonawentura in collaborazione con Casa del Cinema e Istituto Regionale per la Storia del Movimento di Liberazione Fvg a corollario della mostra “Prendiamo la parola – Esperienze dal’68 in Friuli Venezia Giulia” allestita al Magazzino delle Idee – un artista che quegli anni li vissuti intensamente: Shel Shapiro, cantante, produttore, attore e scrittore noto negli anni’60 come voce dei Rokes, interpreti di canzoni storiche come “C’è una strana espressione nei tuoi occhi” o “Bisogna saper perdere”. Nato a Londra e giunto in Italia nel’63, quando il gruppo si è sciolto ha proseguito come solista e autore di brani interpretati tra gli altri da Mina, Ornella Vanoni, Patty Pravo e Mia Martini. Shapiro è sempre sfuggito a operazioni nostalgia e a una visione dorata dei Sixties e nei suoi concerti ama riflettere sulle trasformazioni dagli anni’60 a oggi.

Cos’è stato il’68 per chi, come lei, lo ha vissuto?

«Ha provocato una rivoluzione intellettuale – risponde Shapiro –, ma chi è uscito da quegli anni oggi è in grande difficoltà. Ho tre figli, io mi preoccupo per loro, ma sono meno preoccupati di me. Forse siamo più preoccupati perché avevamo dei sogni che non si sono realizzati affatto o solo in piccola parte. Ci sono state conquiste importanti, ma la società, da aggregativa, è diventata autoreferenziale. Oggi si è tornati a una forma di aggregazione virtuale coi social, ma postare un like non è come scendere in piazza. La musica di Bob Dylan e di altri artisti simbolo di quel periodo ha contribuito a prestare un’attenzione più forte sulla società e non la si può scindere dal resto».

Cantava “Che colpa abbiamo noi”: visto com’è andata, però, qualche responsabilità quella generazione forse ce l’ha…

«Abbiamo avuto la colpa di pensare che noi avevamo ragione, la stessa cosa che sta accadendo oggi in politica: tutti hanno ragione, non c’è nessuno che cerca di aggiustare qualcosa. Buona parte della nostra generazione ha cercato il benessere personale senza guardare a quello dalla società. Il che è anche lecito, ma poi non puoi pretendere che tutto venga da solo: devi contribuire a dare un indirizzo. Trovo che la mia generazione invece sia diventata molto pigra».

A inizio carriera ha incontrato Teddy Reno: che rapporto ha con Trieste?

«È vero, Teddy è triestino, ma l’ho conosciuto in un momento in cui a malapena sapevo dove fosse Roma, figurarsi Trieste… Oggi la adoro, mi piace moltissimo: l’ultima volta che ci sono stato, una decina d’anni fa, era per il Concerto Grosso n. 3 – Seven Seasons dei New Trolls in piazza Unità di cui avevo scritto tutti i testi. Questa serata mi riporta finalmente qui: era troppo tempo che non ci facevo cose mie».

Ha tradotto in inglese i testi di autori come De Andrè.

«Io e Dori Ghezzi siamo molto amici da 50 anni e quando c’è tradurre o da adattare qualcosa di Fabrizio in inglese chiama sempre me; anni fa mi ha contattato per tradurre dei suoi testi per Patti Smith. E ogni tanto mi diletto a scrivere in inglese, a inventarmi dei sogni proibiti».

Cosa pensa dei giovani usciti dai talent?

«Non li invidio per niente: alcuni sono bravi, come Marco Mengoni, Giusy Ferreri o i Manskine, ma per il meccanismo dello spettacolo televisivo il loro talento è finalizzato a quanto può servire alla trasmissione. Molti che forse avrebbero davanti una grande carriera conoscono anche un breve successo, ma poi arrivano le bastonate. Viviamo in un mondo dal consumo veloce: uno come Dylan non sarebbe mai uscito da X Facto».

Ma Dylan, oggi, cosa dovrebbe fare per emergere?

«Quello che ha sempre fatto: rifiutare l’ovvio. Credo che chi possiede quel fattore che lo rende geniale poi venga fuori. Alla fine vince il talento. Ma essere sempre in tivù toglie quell’alone di mistero che avvolgeva gli artisti, che la gente percepiva e li rendeva magicamente famosi. Il virale di oggi somiglia molto a quella modalità: accendi una miccia su un pensiero, un modo di essere e tutti lo condividono. Solo che oggigiorno è tutto più rapido».

Oggi, chi viene ai suoi concerti?

«Dipende com’è veicolata la promozione: se è stradale il pubblico va dai 45-50 anni in su, se invece è social ci sono tanti ragazzi: almeno il 15-20% di quelli che vengono ai miei concerti sono giovani».



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