Si nasconde fra le montagne la misteriosa felicità del lupo per chi è in fuga dalla città

A differenza di Mario Rigoni Stern o di Mauro Corona, scrittori che hanno fatto delle montagne l’anima della loro produzione narrativa, essendo gente di montagna, Paolo Cognetti fa sì delle terre alte il luogo prediletto dei suoi racconti, ma trasferendo fra vette, valli e boschi tensioni, emozioni e riscatti della vita urbana. Lo fa anche nell’ultimo libro, “La felicità del lupo” (Einaudi, pagg. 146, euro 18), dove la montagna diventa rifugio per il quarantenne Fausto, il quale, bruciato dalla fine di una lunga relazione, si trasferisce da Milano nell’immaginario borgo di Fontana Fredda, “cercando un posto da cui ricominciare”. Sono le montagne della sua infanzia, e lì Fausto prova a fare quello che gli piacerebbe fare, scrivere.
Siccome è provato che la solitudine bucolica, contrariamente a quanto si crede fa male ai sacri demoni della letteratura, Fausto dovrà trovare presto un altro modo per sbarcare il lunario. Diventerà così cuoco nel locale di Babette, altra fuggitiva urbana, in una trattoria frequentata da boscaioli e montanari veri dove lavora Silvia, anche lei in inquieto transito nelle terre alte. Montanaro autentico è invece Santorso, ex guardia forestale dalla vita non facile alle prese con i suoi fantasmi. Primi fra tutti i lupi, che non si vedranno nelle belle pagine di Cognetti ma la cui presenza è continuamente evocata quale genius loci in grado di spargere natura selvaggia nelle anime dei protagonisti. Poco alla volta, man mano che Fausto cucina per i gattisti d’inverno (gli addetti che battono le piste da sci) e i boscaioli d’estate, e il rapporto d’amore con Silvia si consolida tra pentole e rifugi alpini, ecco che l’autentico spirito della montagna entra nei cuori dei protagonisti, portando altre inquietudini ma anche altre certezze. Perché a differenza degli alberi, che vivono sempre dove è caduto il seme, e quindi per essere felici si devono arrangiare senza muoversi da dove sono, gli erbivori per essere felici si muovono andando lì dove cresce l’erba. Rimane invece un mistero perché per essere appagato il lupo si debba muovere tanto: “Santorso gli aveva raccontato che non si capiva esattamente perché si spostasse, l’origine della sua irrequietezza”. Arrivava, il lupo, in una valle, “magari trovava abbondanza di selvaggina , eppure qualcosa gli impediva di diventare stanziale, e a un certo punto lasciava lì tutto quel ben di dio e se ne andava a cercare la felicità da un’altra parte”.
È questa la lezione che il fuggitivo Fausto apprende fra le montagne di Fontana Fredda: cercare a tutti i costi un ancoraggio, un rapporto sicuro, un affetto stabile come le radici di un albero non è garanzia di fortuna. Questa, casomai, si raggiunge fiutando imperscrutabili piste, come fanno i lupi.
E Paolo Cognetti, con una scrittura che segue sicura le mutevolezze delle terre alte, riesce a dare una rappresentazione struggente e avvolgente di questa sfuggente ed errabonda felicità. —
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