Siamo una specie che non riesce a mantenere la distanza sociale nemmeno contro il virus

Marina Mander immagina come uno studioso extraterrestre potrebbe classificare i nostri comportament prossemici 
Social distancing, conceptual illustration. An individual infected withthe SARS-CoV-2 coronavirus (previously 2019-nCoV) keeping a safe distance from ...
Social distancing, conceptual illustration. An individual infected withthe SARS-CoV-2 coronavirus (previously 2019-nCoV) keeping a safe distance from ...

la metafora

Marina Mander

Il professor H. osservava da molto tempo e dall’alto del Pianeta Immunia, il comportamento dell’homo sapiens per indagarne le dinamiche territoriali, di lotta, fuga, inibizione e somatizzazione, tutti quegli espedienti adattativi, insomma, volti alla sopravvivenza della specie e utili alla comprensione del genere umano nel caso un bel giorno decidesse di scendere giù: una gita sulla Terra, a lungo procrastinata. Il professore H era uno scienziato, in quanto scienziato coltivava il dubbio, e il fatto che gli umani laggiù pretendessero dalla scienza risposte certe e inconfutabili una volta per tutte lo rendeva ancora più dubbioso: douter de l’homme, innanzitutto.

Quando il Pianeta Terra, studiato con passione, si trovò ad affrontare un’altra pandemia causata dallo sconsiderato sfruttamento del regno animale, il professor H. si mise a rispolverare antichi studi sulle scimmie, sui topi e i lemming, perché non poteva far a meno di notare quanto stress e paura facessero riaffiorare risposte rettiliane anche negli esseri umani, sovra-eccitando il loro sistema endocrino. In particolare notò quanto, oltre alla distanza personale e sociale che riguardano individui della stessa specie, fosse necessario riesumare i concetti di distanza di fuga e distanza critica, solitamente applicati nel caso di incontri tra specie diverse. Ne dedusse che anche tra gli esseri umani, benché tutti uguali, dovessero esserci alcune differenze nascoste, relative principalmente al concetto di spazialità, discrepanze che la circolazione del virus aveva fatto emergere con chiarezza.

Si chiedeva, il professor H. perché un individuo Y in piena pandemia sputasse noccioli di ciliegia sul tavolo come se il virus non esistesse al cospetto dell’interlocutore X, nel tal caso un’interlocutrice, e lei si sentisse sempre più a disagio, fino a darsela a gambe levate. Si chiedeva perché sul treno un signore abbastanza distinto Z a ogni colpo di tosse abbassasse la mascherina, facendo esattamente il contrario di quanto buon senso e buona creanza suggerirebbero. Si chiedeva perché si continuasse a usare metafore guerresche quando il virus semplicemente stava facendo il suo mestiere ed erano gli uomini, solo gli uomini, a darsi battaglia su un argomento per forza di cose contagioso ma asettico, benché fosse lampante anche a un abitante di un altro pianeta quanto fossero molteplici ragioni economiche all’origine delle diatribe.

Si ritrovò, per capire la natura profonda del pianeta di sotto, a dover rileggere un vecchio libro di prossemica, la scienza che studia i rapporti spaziali tra individui e il loro significato comunicativo, il Professor H.: “La dimensione nascosta” di Edward T. Hall. Conteneva parecchi dati interessanti. Un animale non addomesticato consente a un uomo o a un altro nemico di avvicinarsi solo fino a una data distanza, oltre la quale scappa. L’antilope fugge quando l’intruso è ancora a circa mezzo chilometro, la lucertola a 180 cm. C’è un rapporto direttamente proporzionale tra la grandezza di un animale e la sua distanza di fuga, più grosso è l’animale maggiore è la distanza da tenere. La distanza critica, invece, comprende l’intervallo tra la distanza di fuga e la distanza di attacco. Se il domatore di un leone entra nella distanza critica del leone e il leone si trova stretto in angolo, invertirà la direzione e si avvicinerà fino a un possibile attacco al domatore. O allo sputatore di noccioli di ciliegia.

Va considerato, inoltre, che tra gli animali esiste un’ulteriore distinzione tra specie che prediligono il contatto e quelle che lo rifuggono: l’ippopotamo, il maiale e il tricheco e i pappagallini inseparabili se ne stanno appiccicati; gatti, falchi e gabbiani, no.

Ma furono i pinguini ad accendere un’intuizione nel professor H.

Il Pinguino Reale della Patagonia, grande e grosso, segue il principio del contatto, il Pinguino della Terra di Adélie, più minuto, il contrario. Ecco, come gli umani! si disse, il professor H. Stessa specie, ma comportamenti diversi.

Così iniziò una prima classificazione in tempi di coronavirus: Individui Patagonici e Individui Adélie. Aguzzando la vista, scrutando i micro-comportamenti dei due gruppi di esseri umani, il professor H. non poté fare a meno di notare quanto i Patagonici, oltre a essere di maggiori dimensioni, erano anche in prevalenza maschi, alcuni persino capi di stato, che esibivano un comportamento pavoneggiante pur essendo pinguini, e di certo sprezzante del pericolo, come se l’essere abituati a una posizione dominante assicurasse loro anche una sorta di virile padronanza del Covid-19, del tutto indifferente, quest’ultimo, alle dinamiche di potere. Più femmine invece, osservò il professor H., nel gruppo Adélie, forse a causa del nome più gentile e di un maggior istinto di protezione capace di autoregolarsi, alla bisogna, persino contraddicendo quell’handling e holding di Winnicottiana memoria. Anche a bordo dei mezzi pubblici, erano le femmine a stare più attente.

Il professor H., affinò, perciò, la classificazione in Patagonici Avventatis e in Adélie Prudentis. Il fatto che non smise di sorprenderlo fu che gli Avventatis manifestavano una buona dose di aggressività nei confronti dei Prudentis tutti, maschi e femmine indifferentemente, come se, a essere prudenti, si facesse loro un torto personale. Eppure era ormai assodato in ambito scientifico che la distanza personale perseguita dagli animali che prediligono il non-contatto (una specie di bolla invisibile che circonda l’organismo) fosse funzionale all’evoluzione e, soprattutto, alla situazione. Gli animali che vivono in gruppo, di converso, hanno bisogno di rimanere gomito a gomito, al bar e allo stadio, in primis: la distanza sociale è quella oltre la quale si perdono i legami col branco.

Per gli esseri umani è possibile distinguere una distanza intima tra 0 e 45 cm, distanza dell’amplesso e della lotta, del conforto e della protezione. Una distanza personale tra 45 e 1,20 cm, la distanza in cui due persone possono toccarsi le dita allungando ciascuno il braccio, confine del dominio fisico. Distanza sociale tra 1,20 e 3,60 m e distanza pubblica da 360 cm in su.

Quindi, secondo le teorie prossemiche rinvenute dal Professor H., sarebbe più corretto parlare di distanziamento personale e non sociale, il che significherebbe che si può stare in società anche senza alitare sul collo al prossimo.

Gli animali, uomo compreso, seguono un principio di territorialità, la distanza dipende dal tipo di relazione fra gli individui che interagiscono: uccelli e scimmie esibiscono distanze intime, personali e sociali come gli uomini, uomini che esperiscono anche la distanza pubblica, salgono su un palco e proclamano la loro verità anche quando nessuno ancora ne sa abbastanza.

La capacità di riconoscere queste varie zone di coinvolgimento, le attività, le reazioni, le emozioni è di estrema importanza.

Proseguendo nell’indagine classificatoria il professor H., trovò anche l’uomo sapiente Impanicatus, principalmente claustrofilico, e l’uomo sapiente Negationistus/Complottistus, sotto-sottospecie dell’Avventatis, in genere affetto da evidente dissonanza cognitiva, ma a quest’ultima categoria non dedicò molto tempo perché si faceva sera. Si limitò ad accarezzare la sua amata Adélie: “Restiamo ancora un po’ qui, io e te, in vacanza sul Pianeta Terra andremo un’altra volta, siamo così vecchi che rischiamo di lasciarci le penne”. —



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