Siragusa è il Duca che usa le donne

TRIESTE. “Composizione VII” di Kandinsky è l’immagine di copertina della sua pagina Facebook. Una pagina dei fan che gestisce la moglie, appassionata di musica e di pittura. «Quel quadro con il violoncellista credo possa essere rappresentativo di un’arte che racchiuda, assieme alla pittura, sia la cultura musicale che operistica», afferma il celebre tenore Antonino Siragusa. Un prezioso debutto nel ruolo del Duca di Mantova lo riporterà sul palcoscenico del Teatro Verdi domani alle 20.30 per la première di “Rigoletto” di Giuseppe Verdi, che aprirà la nuova Stagione lirica. L’elegante produzione firmata dal regista Jean-Louis Grinda per l’Opéra Monte-Carlo vedrà il ritorno sul podio triestino di Fabrizio Maria Carminati. L’allestimento, nato anche in collaborazione con la Sawakami Foundation, vedrà nel ruolo di Rigoletto il baritono Sebastian Catana, al quale si alternerà Stefano Meo. Mentre a Siragusa subentrerà il giovane tenore Davide Giusti. La parte di Gilda è interpretata da Aleksandra Kubas-Kruk e Lina Johnson.
Nato a Messina ma triestino d’adozione, Antonino Siragusa si esibisce nei maggiori teatri del mondo ed è considerato l’interprete rossiniano per eccellenza («Ho cantato “Il barbiere di Siviglia” in 340 recite, quindi ormai sono un coiffure di professione!»). Da circa diciotto anni è uno dei nomi di punta al Rossini Opera Festival, a Pesaro. Nel suo repertorio anche Donizetti, con cui ha debuttato, Bellini e Puccini.
«“Rigoletto” era l’opera più amata da Giuseppe Verdi - dice Siragusa -. Alla prova generale non fece ascoltare “La donna è mobile” perché era talmente orecchiabile “la canzonaccia”, come la chiama il maestro Muti, che non voleva la canticchiassero tutti alla prima. È un debutto tanto atteso per me nel ruolo del Duca di Mantova, e la preparazione ha richiesto tempi un po’ più lunghi per maturare questo tipo di canto. Un canto legato, un canto “spiegato”, un canto amoroso, forse meno pieno di colorature e meno acuto rispetto a quello di Rossini, però sicuramente con un’orchestrazione un po’ più pesante».
Chi è il Duca di Mantova?
«Il Duca è una persona di dubbia moralità. È uno che vuole avere tutto in pugno e l’unico suo interesse è divertirsi, fare la vita di uomo ricco che frequenta le osterie e anche le donne che fanno il mestiere più antico del mondo, come Maddalena. Non ha remore nei confronti di nessuna donna, pur di conquistarla. Basti pensare all’arietta iniziale, “Questa o quella per me pari sono”. Avendo la nostra prima rappresentazione proprio nella giornata della lotta contro la violenza sulle donne, con un’opera in cui Gilda viene massacrata di botte, viene uccisa, può essere un segnale per dire che le donne vanno rispettate e che non devono essere più trattate in questa maniera».
L’allestimento più significativo?
«Fra i più recenti sicuramente “Ciro in Babilonia”, lo scorso agosto al Rossini Opera Festival, con la regia di Davide Livermore. Aveva dei costumi meravigliosi, per i quali Gianluca Falaschi aveva vinto il Premio Abbiati nel 2012. Era ambientato nel cinema muto, bisognava quindi amplificare la gestualità, ed è stato un lavoro faticosissimo, un impegno notevole che mi ha fatto crescere moltissimo come artista».
Dario Fo, Luca De Filippo e Luca Ronconi: quale ricordo ha di loro?
«Questi sono registi e artisti che rimarranno sempre nei nostri cuori. Nel 2000 ho fatto con Luca De Filippo “La scala di seta” a Pesaro, uno spettacolo di una dolcezza incredibile. E con Ronconi ci siamo ritrovati più volte negli anni. L’ultima occasione è stata “Armida” nel 2014 a Pesaro. È riuscito a creare uno spettacolo bellissimo, dove Armida aveva delle ali fantastiche. Erano ali di angelo che poi diventavano delle ali scure, ali nere di cattiveria».
Quando incontrò Dario Fo?
«Sempre a Pesaro nel 2001 per “La Gazzetta”. Alle spalle del cantante che stava cantando voleva sempre qualcosa che creasse una piacevole confusione. E noi cantanti eravamo “i signori cantori”, nel linguaggio arcaico che lui usava. In quel periodo mia moglie era incinta del nostro primo figlio, nato in agosto. E nonno Dario, come si faceva chiamare, ci regalò una stampa, che fece sul momento, di un bambino che doveva arrivare. Noi la conserviamo ancora gelosamente a casa. Ai primi di settembre abbiamo ricevuto una sua telefonata: “Allora, è nato Andrea?”. È stata una sorpresa molto emozionante».
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