Sorelle siamesi “Indivisibili”

Visionario, crudo e potente il film molto napoletano di Edoardo De Angelis
Di Federica Gregori

È di pochi giorni fa la levata di scudi del regista Paolo Sorrentino, che ha tacciato come «masochistica» la scelta di nominare “Fuocoammare”, il documentario di Gianfranco Rosi su Lampedusa, come candidato italiano agli Oscar 2017 per il Miglior film straniero. Il premio Oscar, invece, ha votato per “Indivisibili”, di cui non era l'unico estimatore tanto che nel testa a testa finale il film di Rosi l'ha spuntata per cinque voti a quattro.

Dopo la presa di posizione, autorevole se non altro perché mossa da uno che la statuetta l'ha vinta, le polemiche sono arrivate a cascata. Strascichi che in alcun modo intaccano la sorpresa folgorante rappresentata dal film di Edoardo De Angelis, film fieramente, visceralmente partenopeo, rivelazione alla Mostra veneziana. Una storia carica di un'emotività potente, tanto grottesca quanto struggente nata dalla penna di Nicola Guaglianone, che ha poi sviluppato la sceneggiatura insieme al 38enne regista napoletano.

Hanno sempre saputo di essere indivisibili, le gemelle siamesi Viola e Dasy. Attaccate per la vita, letteralmente e metaforicamente. Ma belle, di una bellezza delicata, e con un'eleganza naturale che le fa sembrare due madonne, due perle la cui luce sbalza brillante dal degrado che le circonda, in quella disastrata periferia campana che è Castel Volturno. Unite per sempre: così almeno è stato detto loro dalla famiglia. Famiglia che definire bizzarra è poco: mamma stordita e passiva, zio in preda a deliri religiosi e padre-impresario che le carica su un pulmino scassato facendole esibire a matrimoni, sagre e feste delle più assurde. Da cantanti neomelodiche, infatti, le due hanno conquistato una popolarità non da poco, tirando su un serio gruzzolo amministrato dal padre-padrone, che le relega in un isolamento difficile da accettare per due diciottenni. Un po' cantanti, un po' sante: idolatrate da una manica di poveri cristi che interpretano la loro bellezza deforme come segno divino, vengono utilizzate anche da un bislacco prete-predicatore, come non manca la camorra, che fiuta l'affare proponendosi sotto le spoglie di un produttore musicale interessato a lanciarle nello show-biz nazionale.

In questa campana di vetro e di sfruttamento, irromperà un medico che, negando i precedenti consulti, affermerà che una separazione è possibile: e se gli sfruttatori temeranno di perdere la gallina dalle uova d'oro, il conflitto più duro sarà quello tra le due giovani, il cui legame psicologico è quasi più saldo di quello fisico.

La separazione, e il dolore che comporta, è il tema del film sviluppato, come ha spiegato il regista, sull’idea che «a volte per crescere bisogna farsi del male rinunciando a un pezzo di sé stessi». Due gemelle siamesi, carico simbolico già potente, sono state una scelta di rappresentazione affinché il senso si traducesse in una forma fisica: belle e mostruose, freaks da baraccone, come unisce orrido e sublime anche l'ambientazione, Castel Volturno, sintesi di una bellezza violentata, stretta nella morsa di detriti che la deturpano ma non priva di un barlume di voglia di ricostruirsi. Non cornice, ma terzo protagonista drammaturgico, reso in quadri talvolta folgoranti e attraverso un'estetica straniante e sospesa, che le punteggiature del sax di Enzo Avitabile rendono ancor più irreali. Visionario, carico d'inquietudine, crudo nel suo scandagliare la deriva morale dell'umanità impazzita che lo abita, “Indivisibili” è comunque illuminato da un messaggio di umanità e speranza. La direzione d'attori è strepitosa, a partire dalle protagoniste, le esordienti Angela e Marianna Fontana.

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