Stefania Rocca, uno “Scandalo” «Mi fa star bene la normalità»

L’attrice nel testo di Schnitzler con Castellano e la compagnia del Fvg
Di Roberto Canziani

CIVIDALE. Manda segnali di tanto in tanto l'orologio "smart" che Stefania Rocca porta al polso, mentre lei imperturbabile continua a raccontarmi del suo lavoro.

Notifiche e notifiche si accumulano sul quel telefonino "indossabile" mentre, preoccupato più di lei, io continuo a chiedermi chi sarà mai che la sollecita. Forse i colleghi di lavoro, che la attendono in palcoscenico per riprendere le prove di "Scandalo"? O uno dei suoi due bambini, Leone e Zeno, sette e cinque anni, in crisi di astinenza da mamma.

Immune dall'ansia da telefonino, lei da un'occhiata al display e senza batter ciglio torna a concentrarsi sul racconto di quella volta che, a New York, quando studiava all'Actors Studio, un regista la sottopose a un inedito metodo di lavoro. Oggi quel metodo lei lo porta ad esempio, e non solo perché il regista rispondeva al nome di Jean Luc Godard.

Sono sicuramente i suoi colleghi che la vogliono, mi dico. Li abbiamo lasciati pochi minuti fa nel bel mezzo delle prove di "Scandalo", testo ancora inedito in Italia dell'austriaco Arthur Schnitzler, in questi giorni in prova nella sala del Rossetti.

Protagonista accanto a lei sarà Franco Castellano e con loro la neo-formata Compagnia dello Stabile Fvg, per la regia di Franco Però. La prossima settimana si trasferiranno a Cividale del Friuli, perché è sul palcoscenico di Mittelfest che avverrà il debutto, nella serata finale del 26 luglio.

Il telefonino che le accarezza il polso vibra ancora una volta: «Guarda che può rispondere» le dico, rischiando che si disperda intanto il filo del discorso, e bisogni poi ricominciare dal più banale degli argomenti: «Ma la quarta serie di 'Una grande famiglia' è già in cantiere?».

Se il pubblico dei televisori l'ha conosciuta grazie a serie di grande successo popolare, la vicenda professionale di Stefania Rocca, o meglio la sua intensa storia di attrice, va molto al di là di Mafalda di Savoia, di Laura di "Tutti pazzi per amore", o Chiara di "Una grande famiglia". Se sfogli la sua filmografia ti imbatti nell'olimpo della regia mondiale: da Kenneth Branagh a Anthony Minghella, da Abel Ferrara a Gabriele Salvatores. Ma anche Carlo Verdone, Alessandro D'Alatri, Dario Argento. E colleghi da red carpet come Matt Damon, Gwyneth Paltrow, Philip Seymour Hoffman, Cate Blanchet.

«No, non è in programma una quarta serie di 'Una grande famiglia'. Almeno per ora. La terza è andata bene, ed è sempre difficile riunire assieme certi grandi cast», mi dirà poco dopo. Ma intanto possiamo proseguire con il discorso che mi pareva le stesse più a cuore. Quale sarebbe il suo regista ideale - le chiedo - il grande genio o il pedagogo? Quello che ti porta per mano verso il personaggio? O quello che ti fa scoprire il lato che mai avresti immaginato. «Quello che mi convince», risponde. «Se non riesce a convincermi con un'idea, non leggo nemmeno il copione. Sono una persona che sceglie d'istinto. Qui, adesso, seduta, so ragionare e spiegare le mie scelte, ma nel momento in cui le faccio, c'è una specie di intuito ciò che mi guida: l'istinto e il corpo. Sono una creatura molto fisica».

Ci mancherebbe altro, viene dallo sport, Stefania Rocca, pallavolista, nuotatrice.

Quella bellezza fuori dalle regole, quell'anticonformismo del carattere, ha contato molto agli inizi, quando ad imporsi era prima di tutto l'originalità della sua immagine. «Sono cresciuta a Torino, e là a quell'epoca c'era la scuola di teatro di Luca Ronconi. Una volta ci sono andata e... ho preso un po' paura. Ero determinata nel voler fare l'attrice, ma dopo aver sentito quelle voci, non credevo proprio di essere in grado. Ero piccina, avevo le mie insicurezze. Mi sono detta: meglio una scuola di cinema. Allora c'era una forte disparità. Da una parte gli attori di teatro e le loro voci meravigliose, le loro pause. Dall'altra il cinema, dove le pause non te le lasciano proprio fare».

Le cose sono cambiate, per fortuna. Oggi è più facile passare da un fronte all'altro.

«Io non posso fare a meno né dell'uno né dell'altro» sottolinea con un sorriso che sembrerebbe ingenuo, e svela invece una tagliente analisi: «Il cinema è adrenalina. Con i costi odierni spesso è lavoro in presa diretta. È un lavoro intimo, di sguardi, tutto in sottrarre. Un puzzle di scene, qualcuna girata dopo, altre girate prima. L'attore deve rimontare tutto nella propria mente. Un mestiere un po' schizofrenico».

Con tanti frammenti di vita che mulinellano nella testa, gli attori hanno bisogno a volte di accomodarsi sul lettino dello psicanalista.

«Ho studiato psicologia e mi affascina più il versante junghiano che non Freud. Per portare a termine un percorso freudiano non basta una vita intera. Gli junghiani, come me, sono invece molto fisici. Non riesci a scaricare la tua rabbia? Ok, prendi una racchetta e va’ a giocare a tennis. Io faccio così: la mia psicanalisi è fare le cose quotidiane, quelle che fanno tutti: vado al supermercato, faccio nuoto, porto a scuola i bambini...».

Già, i bambini. Come negoziare con Leone e Zeno una carriera così piena cose - cinema, teatro, televisione - e quindi di trasferte?

«È un compromesso. Prima di mettermi dentro a un nuovo progetto, voglio capire se è compatibile con i miei figli, se le agende coincidono. Altrimenti non lo faccio. Parlo, li coinvolgo, voglio che capiscano che hanno una mamma fortunata perché fa un lavoro che le piace. Vado e vengo, una continua altalena, e ogni volta per loro è un nuovo entusiasmo. In questo, Skype ci aiuta molto».

Torniamo allo spettacolo. Dove starebbe lo "Scandalo" che promette il titolo?

«Non solo uno, ma tanti scandali. Anche se il testo ha quasi 120 anni, qui si parla delle regole della società borghese, per la quale il giudizio degli altri conta molto di più dell'essenza. A quell'epoca poteva far scandalo che una donna di diversa condizione sociale penetrasse in un ambiente che non era il suo, la ricca borghesia per esempio. Oggi potremmo pensare a un'immigrata, o una donna di religione islamica, giudicate entrambe con sospetto. Il mio personaggio ad esempio, si è creato, un decalogo delle cose che ritiene 'scandalose'».

Sembrano cose del passato.

«Eppure non lo sono. Certo oggi la mentalità è cambiata, però i fondamenti borghesi rimangono quelli. Ci vorranno molti decenni ancora per sradicarli. Penso con speranza al movimento gender che, che ben oltre all'identità sessuale, guarda alle persone per quello che sono e non per come appaiono».

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