Su un treno di carta destinazione Trieste viaggiando insieme a Svevo

Letteratura
Il “Corto viaggio sentimentale” di Italo Svevo, pur incompiuto, è «a pieno titolo, un’opera “ferroviaria”, forse l’unica, a ben vedere, della letteratura italiana». Fulvio Senardi, triestino e critico letterario, non ha dubbi. L’affermazione fatta al convegno di Perugia del 14 e 15 novembre 2019, è ora stampata in un corposo volume di oltre 400 pagine dal titolo “Treni letterari. Binari, ferrovie e stazioni in Italia tra ’800 e ’900”, a cura di Giovanni Capecchi e Maurizio Pistelli (Lindau, 464 pagine, 32 euro). “Treni e letteratura a nord-est” è il capitolo di Senardi che promuove il racconto deragliato ( “monco di una conclusione”) di Aron Hector Schmitz. Il volume di Lindau riprende i binari del lavoro del 1993 di Remo Ceserani: “Treni di carta” (Marietti, Genova). A distanza di 28 anni salgono in carrozza autori come Elsa Morante, Leonardo Sciascia, Dino Buzzati, Elio Vittorini, Anna Maria Ortese e Carlo Cassola.
È il 1857 l’anno decisivo per Trieste. «Il collegamento Vienna-Trieste giunge allora a conclusione con il completamento dell’ultima tratta, la Postumia-Trieste. Un serpentone di ferro unisce così Vienna, Graz, Lubiana alla città portuale» annota Senardi. Tre anni si concludono i lavori della Trieste-Udine. Solo nel 1897, invece, s’inaugura la linea Venezia-Portogruaro-Cervignano. Il primo a Trieste a registrare «in un’opera letteraria la nuova fenomenologia del viaggio su rotaie» non è un italiano. È l’austriaco Heinrich von Littrow, allora direttore dell’Imperial-regia Accademia di commercio e nautica, che nel 1963 dà alle stampe “Da Vienna a Trieste. Immagini di viaggio per letture ferroviarie in poesie alla buona”, quasi 300 pagine di quartine di ottonari e di settenari rimati in tedesco. «Il viaggio con il treno è una delle nostre pene / Come detenuti in isolamento / ingoiando quantità di polvere di carbone / nel magico carrozzone».
Nel 1871 esce invece il romanzo “Per un’effe: viaggio in istrada ferrata da Venezia a Trieste” (Lampugnani, Milano) del triestino Paolo Tedeschi in cui il viaggio in treno viene scandito stazione per stazione (Venezia, Treviso, Conegliano, Sacile, Pordenone, Udine, Gorizia, Trieste) come un ritorno alla giovinezza verso la patria “sì bella e perduta”. Non mancano riferimenti ferroviari in Scipio Slataper (“Mio Carso”), Giani Stuparich (“Addio alla Tina”), Boris Pahor (“La città nel golfo”) e nelle poesie in triestino di Claudio Grisancich. Ma è solo Italo Svevo a prendere il treno letterario con il suo “Corto viaggio sentimentale”. È un’opera che termina con le parole: «alla stazione di Tries...». Un racconto finito su un binario morto, rimasto incompleto a causa della sua morte il 13 settembre 1928 a Motta di Livenza a seguito di un incidente stradale. Il racconto fu pubblicato postumo nel 1949. In “Corto viaggio sentimentale” Svevo racconta il lungo viaggio in treno del signor Aghios da Milano a Trieste, via Mestre-Udine-Gorizia, con le descrizioni in capitoli dei vari segmenti del viaggio: Stazione di Milano, Milano-Verona, Verona-Padova, Venezia, Alla stazione di Venezia, Venezia-Pianeta Marte, Gorizia-Trieste.
Il Pianeta Marte sostituisce Udine. Quel treno, infatti, non arriverà mai nel capoluogo friulano. Un sogno farà sbarcare Anghios su Marte proprio mentre si accinge ad arrivare a Udine. La stazione friulana non viene raffigurata nel racconto, anche se sarà proprio a Udine che il suo compagno di viaggio, Giacomo Barcis, gli sottrarrà la somma di denaro che portava con sé. É un’avventura psichica il viaggio in treno. Il soggetto finisce in fumo. «Il signor Aghios – scrive Svevo – si incantò per qualche minuto a guardare il fumo che denso usciva a dal camino di una locomotiva... Pareva si spogliasse e tradisse l’esistenza di una testa, un grugno, un essere animato». Non c’e solo il fumo dell’ultima sigaretta nel viaggio psicanalistico dell’ultimo Svevo. «L’Io – scrive a proposito Claudio Magris – assomiglia a quella testa che, nel “Corto viaggio sentimentale” di Svevo, il fumo uscito dal camino della locomotiva disegna nell’aria e che si disfa spalancando occhi smisurati i quali si dilatano sino a svanire».–
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