Tanti misteri nell’aprile 1945 intorno alle acque del lago di Como

Per gentile concessione della casa editrice Mondadori pubblichiamo l’incipit del libro di Gianni Oliva “Il tesoro dei vinti”, nelle librerie da domani.
di GIANNI OLIVA
Dongo è un grazioso borgo del lago di Como, ma nell’immaginario collettivo degli italiani è avvolto da un’aura di inquietudine e di mistero. Lì, il 27 aprile 1945, i partigiani della 52a brigata Garibaldi hanno arrestato il Duce e i gerarchi che cercavano di allontanarsi dall’insurrezione di fine guerra; di lì, nottetempo, Mussolini e Claretta Petacci sono stati trasferiti a Bonzanigo nella cascina De Maria, dove il giorno successivo sarebbero stati prelevati e uccisi dagli inviati del comando garibaldino Aldo Lampredi e Walter Audisio (meglio noto come «colonnello Valerio»); lì, allineati sul lungolago della Antica Strada Regina, sono stati fucilati Alessandro Pavolini, Paolo Zerbino, Francesco Barracu, Ferdinando Mezzasoma, Marcello Petacci e altri protagonisti della Repubblica sociale; lì, in forma drammatica, si è consumato l’epilogo annunciato del fascismo. Accanto a questi episodi, che veicolano il sapore amaro di una stagione di violenza conclusa nel sangue della resa dei conti, vi è un altro aspetto che rinvia invece all’intrigo, al dubbio, al fascino sottile dell’indicibile. Nella lunga colonna di auto che segue il Duce lungo la sponda occidentale del Lario, non vi sono soltanto fascisti compromessi e smarriti alla ricerca di un’improbabile salvezza: vi è anche una consistente quantità di beni preziosi, pacchi di banconote fresche di stampa, rottami d’oro, gioielli, valuta straniera, titoli di Stato, orologi, fedi nuziali donate alla patria. Sono proprietà di Stato, prelevate dalle casseforti della Repubblica sociale e dai fondi segreti dei ministeri, mescolate a proprietà private (collane e anelli di famiglia, proventi della vendita di immobili, depositi bancari): sono le ricchezze che i fuggiaschi portano con sé come garanzia per il proprio futuro, pensando all’emergenza di un esilio in terra svizzera, o a un trasferimento aereo nella Spagna franchista, o a un’estrema «resistenza» armata in Valtellina.
È il cosiddetto «oro di Dongo», sul cui ammontare sono state fatte numerose ipotesi, nessuna delle quali risulta attendibile per la mancanza di documentazione sicura.
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