Teresa nata il ventitré

Oggi al Teatro Bobbio il monologo della Mannino
Di Alex Pessotto

Talvolta (spesso?), il teatro non è finzione. E la verità può risiedere già nel titolo di uno spettacolo. Prendiamo "Sono nata il ventitré", monologo con Teresa Mannino. Già in quel titolo c'è tutta la voglia di raccontarsi dell'attrice, cabarettista, autrice, presentatrice, nata a Palermo, appunto un 23 novembre.

Anche se è chiaro che la Mannino (autrice del testo, assieme a Giovanna Donini, e regista dello spettacolo) si racconterà da par suo, con quella verve comica che l'ha resa popolare. E a noi, ascoltando dell'infanzia sua e di sua figlia, di confronti tra Nord e Sud, di tradimenti, del mondo d'oggi e di molto altro, tra una riflessione e l'altra, non resterà che ridere.

Al Teatro Bobbio della Contrada "Sono nata il ventitré" approda stasera, alle 20.30, fuori abbonamento. Domani, invece, la tournée del monologo si chiude al Verdi di Gorizia, alle 20.45, aprendo i Grandi eventi/Smile, una delle sezioni in cui si articola il cartellone del teatro del capoluogo isontino.

In regione per lei non sarà un debutto...

«Sono felice di tornare a Trieste - risponde Teresa Mannino -. È una città che amo molto. L'ultima volta ci sono stata per la tournée teatrale di "Terrybilmente divagante": ricordo un pubblico che aveva un calore "da Sud" anche se quella triestina era risultata la data con meno spettatori della tournée e per questo motivo, stavolta, ho voluto lasciare Trieste alla fine. Insomma, per questo timore ho preferito attendere che lo spettacolo fosse molto rodato. Sono davvero curiosa di vedere cosa è successo in questi anni. Siamo a circa 150 repliche. Quella di Gorizia sarà l'ultimissima».

Perché affidare il titolo alla sua data di nascita?

«Lo spettacolo è molto autobiografico. In particolare racconta di me da bambina. "Sono nata il ventitré" è per dire "io sono quella lì". Non sono quella della pubblicità, non sono quella di Zelig, della televisione. Sono proprio quella del titolo».

Nello spettacolo racconta dell'infanzia sua e di quella di sua figlia. Che differenze ci sono?

«Ho scritto lo spettacolo quando mia figlia era piccolina e certe cose mi sono saltate agli occhi. I nostri genitori erano per certi versi meno apprensivi, meno asfissianti, meno presenti, probabilmente perché facevano i figli più giovani o perché ne avevano di più. Di certo, la vita era diversa mentre ora è tutto "bambinocentrico". Ad esempio, a Natale, alle feste in famiglia, c'erano le tavolate in cui prima venivano serviti i nonni e poi gli altri. Ora, invece, c'è l'abitudine di servire prima i bambini, altrimenti si innervosiscono».

Ed era meglio allora o è meglio ora?

«Non c'è un vincitore. Anche quando confronto il Nord e il Sud mi dicono che parlo male del Nord ma in realtà è falso. La verità, appunto, è che faccio un confronto e secondo me il confronto è sempre positivo».

Ma lei abita al Nord o al Sud?

«Vivo a Milano. E mi trovo bene perché è la città che ho scelto. Certo, mi manca il contatto con la natura; inoltre, c'è molto inquinamento. Se solo Milano avesse l'aria un po' più pulita e se avesse il mare di Trieste sarebbe proprio una città ideale».

Cosa c'è nel futuro di Teresa Mannino?

«Un progetto già avviato e che si farà di certo. Si chiamerà "Teresa Valery": non canterò ma parlerò della Traviata; ci saranno orchestra e cantanti. Sarà una produzione del teatro lirico di Palermo; non so se andrà in tournée. E per il futuro c'è anche un nuovo progetto di teatro che si discosterà molto da quello che finora è stato il mio percorso».

In Zelig la vedremo ancora?

«Fare Zelig è sempre bello. Per me Zelig è casa. Ma è ancor più bello starsene fuori dal palco, dietro le quinte a chiacchierare con gli altri: quei cinque minuti di palcoscenico, invece, con tutti che ti guardano sono un po' come i rigori ai mondiali di calcio... Io preferisco avere i miei tempi, fare due ore in teatro. Progetti per la televisione non ce ne sono. E, sinceramente, non mi mancano».

Vuol dire che a Zelig non tornerebbe?

«A Zelig mi ritrovo sempre per il mio attaccamento al gruppo. E poi, stare con il pubblico non può non essere bello».

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