“The Place”, la sfida di Genovese
Il regista di “Perfetti sconosciuti” supera anche l’esame del film drammatico

“The Place” è un bar piuttosto trendy di una città che potrebbe essere Roma, almeno a sentire l’accento dei personaggi. Ma dopo una manciata di minuti di “The Place”, che è anche il titolo del nuovo film di Paolo Genovese (“Perfetti sconosciuti”), capiamo che la città e i dintorni reali del bar hanno poca importanza. Ciò di cui sentiamo sempre parlare durante tutta la giornata - fra un solo uomo (Valerio Mastandrea) e i suoi diversi interlocutori, e sempre a un solo tavolino di quel bar ora affollato, ora deserto - è una tragica e insieme buffa commedia umana molto universale, che potrebbe aver luogo ovunque e che riguarda sentimenti, paure e desideri di chiunque.
E’ un film ambizioso, questo di Genovese, il primo drammatico nella sua carriera. Una singolare e curiosa tragicommedia filosofica, astratta anche se contemporanea, non basata sull’attualità a differenza della commedia sociologica “Perfetti sconosciuti”. Un film fondato anche su una rischiosa sfida formale, ovvero l’unità di luogo praticamente teatrale. Una scena fissa e “parlata”, che ruota intorno all’intreccio di situazioni esterne che lo spettatore può solo immaginare, riferite da una successione di dialoghi che si svolgono sempre simili fra due sole persone.
In sintesi, la trama di “The Place” vede un misterioso uomo (Mastandrea) con un quaderno nero, incontrare a rotazione al tavolino di un bar una decina di personaggi, che gli chiedono di risolvere i loro disparati problemi. Marco Giallini è un poliziotto violento che vuole riavvicinarsi al figlio mezzo delinquente. Rocco Papaleo è un carrozziere che sogna una notte d’amore con una modella da calendario. Alessandro Borghi è un cieco che vuole riavere la vista. Silvio Muccino è uno spacciatore che aspira a una nuova vita, e così via. L’altra presenza costante nel locale, oltre a Mastandrea, è la romantica barista Sabrina Ferilli, che non chiede nulla al misterioso individuo se non di poterlo corteggiare. Ma chi è quest’uomo che annota tutto sul suo quaderno nero, proponendo drammatiche soluzioni ai personaggi, i cui destini un po’ alla volta si intrecciano? E come è giunto Genovese a questa sorta di azzardo narrativo?
Dopo il successo in tutto il mondo di “Perfetti sconosciuti” il regista ha evidentemente voluto rilanciare, ripartendo con un film che avesse di nuovo un’idea forte alla base. In “Perfetti sconosciuti” era la tavolata intorno ai pericoli per le coppie derivati dall’uso dei social network, qui è il tavolino con persone in difficoltà che discutono del proprio destino e, in fondo, del senso della vita. In entrambi i film, però, ci si interroga su cosa le persone sono in grado di fare in determinate condizioni.
Una sfida complessa, dunque, quella di “The Place”, che poteva cadere nel ridicolo e invece diventa una gradevole “ronde”. Merito della capacità narrativa di Genovese e dell’interpretazione degli attori. Alcuni dei migliori volti nostrani danno qui il loro meglio nonostante la situazione metafisica e claustrofobica, con Mastandrea, Papaleo, Ferilli e Giallini su tutti, ma anche con la sorpresa del ritorno di Silvio Muccino. E poi merito della sceneggiatura di Genovese e di Isabella Aguilar (“Dieci inverni”), che prende spunto da una serie americana che il regista ha voluto adattare, “The Booth at the End”, con un uomo seduto in fondo a un locale che incontra le persone più diverse, stringendo patti con loro. Uno schema teatrale che non fa parte della nostra tradizione cinematografica, ma che ricorda film di altri autori italiani che, in cerca di strade nuove, hanno allestito simili sfide narrative chiuse e sorprendenti, da “Una pura formalità” e “La migliore offerta” di Tornatore, fino a “Youth” di Sorrentino.
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