Tra erotismo e risate la commedia sexy in un dizionario “stracult”

Esce una nuova opera di Marco Giusti con quattrocento titoli dedicati alle pellicole piccanti l’analisi e la rivalutazione del genere coinvolge insospettabili come Pasolini, Bertolucci, Fellini 

i titoli

Sono ben 400 i titoli - spesso chilometrici, per lo più esilaranti, talvolta proverbiali (“Quel gran pezzo dell’Ubalda…”) – schedati da Marco Giusti nel suo nuovo dizionario, ultimo di una serie ventennale sul cinema popolare. Dopo gli spaghetti western, i peplum e gli 007 caserecci, ecco quello sul filone più divisivo, il “Dizionario stracult della commedia sexy” (Bloodbuster, pagg.528, 35 euro), arricchito da flani d’epoca e manifesti piccanti.

Una delizia per i fan, uno scandalo (o una snobberia) per i cinefili “seri”, mai diventati adepti dello “stracult”. Ovvero della categoria critica inventata da Giusti che include senza pregiudizio tutti i film, perché la qualità può annidarsi ovunque e perché le rivalutazioni spesso riservano sorprese. Come in questo caso, dove l’analisi della commedia sexy coinvolge il gotha del cinema italiano d’autore, da Bertolucci a Fellini a Pasolini, nonché alcuni “insospettabili” di casa nostra, come i letteratissimi Franco Giraldi e Tullio Kezich.

Ma il dizionario consolida innanzitutto le gerarchie acquisite presso gli stra-cultori. Così le accuratissime schede critiche vanno da “Acapulco, prima spiaggia a sinistra” (1983) a “Zucchero, miele e peperoncino” (1981), film entrambi diretti da Sergio Martino, non a caso uno dei quattro “maestri” della risata erotica all’italiana. Fra questi, se Martino (“Giovannona coscialunga”) e Mariano Laurenti (l’”Ubalda…”), erano i registi più legati alla commedia classica, Nando Cicero (“W la foca”) era invece il più originale nelle trovate comiche, mentre Michele Massimo Tarantini (“La poliziotta fa carriera”) era il più scatenato nella velocità delle gag.

L’appassionata introduzione di Giusti, che srotola lo sviluppo della commedia sexy dagli anni ’60 agli ’80, da una parte approfondisce il contesto (“Non c’è mai stata una rivoluzione simile nel nostro cinema e un interesse uguale dimostrato in quegli anni dagli italiani per il sesso”); dall’altra conferma il suo teorema sulla qualità di quei film. Nati sull’onda della rivoluzione sessuale, erano macchine comiche spesso perfette. I registi non erano ragazzi viziati con l’ambizione del cinema d’autore, ma solidi artigiani formatisi con nomi quali Mastrocinque, Mattoli, Steno, che avevano imparato dal varietà come far funzionare gli attori. A ciò si aggiunge, per Giusti, lo scambio continuo di relazioni fra questa commedia e il cinema d’autore. «A mostrare la via – scrive – è stata la prima linea del cinema più impegnato, la nostra nouvelle-vague. Così ‘Ultimo tango a Parigi’ di Bertolucci incassa 5,7 miliardi di lire, ‘Malizia’ di Samperi 5,5 miliardi, ‘Decameron’ di Pasolini 3,9 miliardi».

E anche se da lì a poco ognuno di questi film (ma anche “Amarcord” di Fellini) lancerà delle imitazioni molto meno artistiche e molto più goderecce e banali, tuttavia qualcosa di significativo di quella rivoluzione rimarrà anche nelle varianti. «Perfino nei decameroni più sciatti – osserva Giusti - si sente la libertà della messa in scena del sesso e dell’esibizione dei corpi nudi riconducibile a Pasolini. La sua è una vera rivoluzione, mostrando corpi non perfetti, genitali maschili e femminili. Un’esplosione di gioia legata all’atto sessuale che non ci aspettavamo, liberandoci dagli stereotipi del sesso visto dal buco della serratura sia della commedia, sia del cinema d’autore».

Oltre al friulano Pasolini, troviamo fra i primi protagonisti di quel sovvertimento d’autore i triestini Franco Giraldi e Tullio Kezich. Ben in anticipo sui titoli citati, esempio chiave di commedia all’italiana che si tinge di erotismo ecco nel 1968 “La bambolona” di Giraldi, con Ugo Tognazzi e Isabella Rei, che il regista dichiarò essere il suo più importante. «Più del film – ricorda Giusti - fu celebre la ricerca della ragazza che avrebbe dovuto interpretare la protagonista». Giraldi spiegò: «Mi occorreva un viso infantile e insieme alquanto greve: un’animalità viva e contenta. Alla fine, dopo aver girato mezza Europa ho trovato questa sedicenne, Isabella Rei. Un esempio tipico di questa gioventù molto disinibita». Poi, in “Cuori solitari” (1970) con Tognazzi e Senta Berger, Giraldi ci mostra la prima coppia di scambisti borghesi, dove l’attore cremonese si conferma il simbolo delle rivoluzioni sessuali degli italiani.

Nello stesso anno, esce anche “Venga a prendere il caffè da noi” di Lattuada (2,3 miliardi di incasso), sceneggiato da Kezich. Il critico era stato coinvolto da Lattuada perché il romanzo ispiratore del film, “La spartizione” di Chiara sul sesso vissuto in provincia, gli ricordava “La coscienza di Zeno” che Kezich aveva già portato a teatro. Fra le numerose imitazioni di questa pellicola, “Le dolci zie” (1975), una delle 40 commedie sexy interpretate dalla bruna rovignese Femi Benussi. Che se non era la regina del filone come la polesana Laura Antonelli (partita non a caso da “La rivoluzione sessuale”, 1968), era comunque una reginetta pagata 15 milioni a film. Ed è suo uno dei tanti aneddoti divertenti del libro. Intervistata su “Le belve” (1971), ricorda di aver fatto il bagno completamente nuda a Monte Gelato, a febbraio: «Nella mia ingenuità pensavo che la scena l’avrebbe fatta la mia controfigura, una ragazza che veniva dal circo, e che a me avrebbero riservato l’uscita dall’acqua. E invece no, perché lei, la mia controfigura, mi ha detto, in slavo: ‘Preferisco fare una caduta da cavallo’». —



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