Tredici corti sotto i “Ponti di Sarajevo”

Tredici autori di generazioni e provenienze diverse raccontano Sarajevo e ciò che la capitale bosniaca ha rappresentato nella storia europea degli ultimi cento anni. Sotto la supervisione del critico Jean-Michel Frodon, offrono un ventaglio di visioni tese a sviluppare una riflessione su questa città simbolo di unione, ma anche di divisione e conflitto.
Dopo essere passato fuori concorso a Cannes 2014 e a Trieste Film Festival 2015, "I ponti di Sarajevo", realizzato da alcuni tra i registi più interessanti del cinema europeo e della nuova onda est-europea, arriva in sala. I cortometraggi che lo compongono, tenuti insieme dai disegni animati di François Schuiten, attraversano la Storia: dalla ricostruzione dell'attentato all'arciduca d'Austria che ha acceso la miccia al Primo conflitto mondiale ("Mia cara notte" di Kamen Kalev), fino al presente fotografato in stile neorealista da Ursula Meier tra un campetto di calcio e un piccolo cimitero, dove mostra gli effetti del conflitto degli anni '90 ("Stai zitto Muju"). Tra gli autori, ma non tra i più ispirati, anche gli italiani Vincenzo Marra e Leonardo Di Costanzo. Il primo si concentra su un episodio della Prima Guerra Mondiale ambientato in una trincea del monte Pasubio ("L'avamposto"), mentre il secondo percorre i dubbi di una coppia di bosniaci che vivono a Roma da vent'anni, incerti sull'opportunità di tornare a Sarajevo ("Il ponte").
Si aggiungono alcuni dei vincitori delle passate edizioni del Trieste Film Festival: il rumeno Cristi Puiu, con la sua ironia beffarda in "Réveillon", e l'ucraino Sergei Loznitsa, più concettuale in "Réflexions".
La vita durante l'assedio è al centro di "Album" di Aïda Begic, unica regista bosniaca del gruppo, e in "Le Pont des Soupirs, collage-poème" di Jean-Luc Godard, che riprende le immagini di alcuni suoi film degli anni '90. Come in molte opere collettive non tutti gli episodi sono all'altezza ma, sapientemente alternati, restano impressi solo quelli migliori. Come il racconto della Meier, che chiude il film con un raro e prezioso esempio di grande cinema in corto.
(bea.f.)
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