Trieste, l’opera di Jan Fabre a Miramare contro il colonialismo belga
L’artista in visita alla mostra “Naturae” che ospita Il giardino delle delizie: «La mia opera è una critica alla politica coloniale violenta del fratello di Carlotta»

«La bellezza della crudeltà e la crudeltà della bellezza». Ecco che cosa intendono rappresentare i quattro mosaici dell’artista visivo Jan Fabre, esposti nelle Scuderie del Castello di Miramare nell’ambito della mostra collettiva “Naturae. Ambienti di arte contemporanea”. Ma i seducenti e inquietanti bassorilievi nascondono anche uno speciale legame con il luogo che attualmente li ospita. A svelare tutte le sfaccettature della sua opera è stato lo stesso performer belga, che lo scorso fine settimana era in visita a Trieste. «Questa città – ha detto Fabre – mi ha colpito moltissimo: è un vero e proprio tesoro da scoprire. Ad esempio, sono rimasto incantato dai suoi teatri... ma la cosa che mi ha entusiasmato di più è il collegamento tra la storia del Castello di Miramare e il mio lavoro».
“Il giardino delle delizie” – così si intitola l’opera esposta nelle Scuderie – si ispira all’omonimo dipinto di Hieronymus Bosch e consiste in quattro bassorilievi a mosaico, completamente realizzati con gusci di scarabei gioiello. «Il materiale con cui sono fatte le elitre di questi insetti – spiega la curatrice della mostra Melania Rossi – contiene tutti i colori dell'iride, ed è il materiale più resistente che esiste in natura: quindi, è una sorta di corazza che difende l'animale, ma all’occhio umano ha anche una bellezza sorprendente». Per comprendere ancor meglio l’opera bisogna però sapere che essa è dedicata alla triste vicenda della colonizzazione belga del Congo. «Jan Fabre è fiammingo – continua Rossi – e sente profondamente la storia del passato coloniale del suo Paese. La rappresentazione delle violenze a danno dei congolesi passa attraverso una simbologia legata al trittico di Hieronymus Bosch: di fatto, “Il giardino delle delizie” è un inferno dove vengono raffigurati personaggi a metà tra uomo e animale e tra uomo e oggetto. Quindi, il dipinto è una sorta di inferno in cui la natura e l'uomo sono mescolati, ibridati tra loro».
Alla fine del XIX Secolo, il re del Belgio Leopoldo II usò il Congo come una proprietà personale, sfruttandone brutalmente le risorse e causando milioni di morti. Il Congo, insomma, era diventato “Il giardino privato” del re. Ma non un rigoglioso giardino fiorito, bensì un giardino infernale, come quello descritto da Hieronymus Bosch. «Le immagini delle torture – specifica Rossi – sono simili a quelle che vennero veramente inflitte agli indigeni durante la colonizzazione. Jan Fabre ha usato questa simbologia per criticare il passato violento del suo Paese, e ha deciso di farlo attraverso il lirismo e la bellezza dell'arte».
Ma qual è il collegamento con il Castello di Miramare? La risposta è semplice: Carlotta, la sfortunata sposa di Massimiliano d'Asburgo, era la sorella di Leopoldo II del Belgio. La principessa, in verità, era sempre stata tenuta in disparte rispetto alle questioni politiche, e non ebbe alcun ruolo nemmeno nella vicenda della colonizzazione del Congo.
«Il lavoro dell’artista belga – spiega la curatrice della mostra – risale al 2011: quando ha realizzato questi mosaici, quindi, non immaginava che ci fosse un legame con la città di Trieste. Ce ne siamo accorti solo quando abbiamo iniziato a progettare la mostra a Miramare. Questa è un po’ la magia dell’arte, quando storie apparentemente lontane si connettono in maniera quasi spontanea. In questi casi, quelle che possono apparire come coincidenze, in realtà non lo sono mai!»
Nelle Scuderie del Castello di Miramare, a Jan Fabre è dedicata un’intera sala. Oltre ai bassorilievi, c’è anche un curioso autoritratto dell’artista in bronzo, che rappresenta sé stesso con delle corna da capra. «Gli animali – conclude sorridendo il visionario belga – sono i migliori filosofi e dottori al mondo!
Questo è uno dei temi principali del mio lavoro: ho indagato profondamente sullo studio del corpo umano, e sulla metamorfosi da uomo ad animale e da animale a uomo. Noi siamo abituati a pensare che gli uomini siano gli esseri più crudeli in natura, ma in realtà importanti studi scientifici dimostrano che gli animali possono essere ancora più crudeli.
Per questo motivo, ho realizzato 12 autoritratti con diverse corna o orecchie animali, che corrispondono al tentativo di studiare da una parte l’identità umana in tutte le sue espressioni, e dall’altra il rapporto tra uomini e animali».—
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