Trieste pagò da sola al tavolo di Parigi la sconfitta dell’Italia

Alcide De Gasperi tentò invano di far riconoscere i due anni combattuti a fianco delle Nazioni Unite
Di Gianni Oliva
Lasorte Trieste 20/05/11 - Palazzo Costanzi, Mostra Giuliani nel Mondo, esodo
Lasorte Trieste 20/05/11 - Palazzo Costanzi, Mostra Giuliani nel Mondo, esodo

di GIANNI OLIVA

Intervenendo alla conferenza di pace di Parigi il 10 agosto 1946, Alcide De Gasperi ricostruisce il percorso dell'Italia antifascista. «Il rovesciamento del regime - egli dice riferendosi alla caduta di Mussolini del 25 luglio 1943 - fu possibile grazie agli avvenimenti militari, ma la rottura non sarebbe stata così profonda se non fosse stata preceduta dalla lunga cospirazione dei patrioti che in Patria e fuori agirono a prezzo di immensi sacrifici».

L'impostazione è chiara e riflette l'interpretazione crociana del fascismo come "parentesi"nella storia nazionale: vi è stato un ventennio di dittatura che ha dominato gli Italiani con la forza della repressione e con la paura, e vi è una nuova Italia, che prima con l'antifascismo clandestino, poi con la cobelligeranza e la resistenza partigiana, ha concluso la guerra nel fronte dei vincitori, intraprendendo con decisione la via della libertà e della democrazia.

Alle potenze vincitrici De Gasperi chiede di trattare con questa nuova Italia perché «due anni di guerra combattuta con estrema lealtà, fianco a fianco delle Nazioni Unite, legittimano e giustificano la nostra attesa»: in quanto capo del Governo italiano, egli si sente in diritto di parlare come rappresentante di «una Repubblica che armonizza in sé le aspirazioni umanitarie di Giuseppe Mazzini, le concezioni universaliste del Cristianesimo e le speranze internazionaliste dei lavoratori».

I Quattro Grandi sono però d'altro avviso: l'Italia è un Paese aggressore, che ha scatenato la guerra accanto alla Germania nazista, che l'ha combattuta per tre anni e mezzo, che ha attaccato la Francia, la Grecia, la Jugoslavia, l'Unione Sovietica, l'Egitto. Per i francesi rappresentiamo la "pugnalata alla schiena" del 10 giugno 1940; per la Jugoslavia, la Grecia e l'Unione Sovietica, gli invasori che hanno bombardato, distrutto, ucciso; per i britannici, l'antagonista del Mediterraneo, che ha contrastato la "Royal Navy"; per tutti i vincitori, i corresponsabili di un conflitto che ha provocato milioni di vittime.

E nessuno di loro intende accettare l'Italia tra le potenze che firmeranno il trattato di pace come "alleate ed associate". Porte aperte, in futuro, a un'Italia che riscopra la strada della democrazia: ma nell'immediato l'Italia è una Paese che ha perso la guerra e che deve pagare il prezzo della sconfitta.

La presenza italiana alla Conferenza di Parigi è sintomatica del nostro isolamento internazionale: De Gasperi viene ammesso solo alla sessione in cui si parla di confini italiani, prende la parola dopo tre giorni di anticamera e quando sale sul podio della tribuna (il giorno dopo l'intervento del ministro jugoslavo Edward Kardelj) viene accolto da molti diplomatici con ostentata freddezza.

Il risultato della Conferenza matura attraverso successive riunioni parigine e soprattutto attraverso il lavoro di una Commissione quadripartita di esperti (americani, sovietici, inglesi e francesi), voluta dal segretario di Stato americano James Byrnes e incaricata di tracciare una li. nea etnica ottimale sul confine nordorientale italiano.

Tra le diverse ipotesi formulate (da quella sovietica, favorevole a porre Trieste sotto sovranità jugoslava, a quella statunitense, la più vicina a rispettare i confini italo-jugolsavi fissati con trattato di Rapallo del 1920), il Consiglio dei ministri degli esteri approva quella avanzata dal ministro francese Georges Bidault: creare il "Territorio Libero di Trieste", da porre per dieci anni sotto la tutela delle Nazioni Unite, e per il resto confermare con rettifiche minime la divisione fatta il 12 giugno 1945 lungo la cosiddetta "linea Morgan".

Nonostante i tentativi contrapposti di Kardelj e di De Gasperi di contrastare le decisioni e gli infruttuosi contatti tra Pietro Nenni e lo stesso Kardelj per estendere l'internazionalizzazione alla città di Pola, in autunno la Conferenza di Pace prende la decisione finale e i 21 vincitori approvano il progetto francese con 15 voti favorevoli e 6 contrari. Il 10 febbraio 1947, settant'anni fa, il Trattato viene firmato e il 15 settembre successivo entra in vigore.

Si tratta di un accordo punitivo nei confronti dell'Italia, che paga così il prezzo del fascismo e della guerra scatenata nella primavera 1940, come riconosce Benedetto Croce quando afferma che «noi italiani abbiamo perduto una guerra e l'abbiamo perduta tutti, anche coloro che l'hanno deprecata con ogni loro potere».

Il prezzo della sconfitta, però, non è pagato da tutti gli italiani, ma ricade per intero sulla popolazione del confine nordorientale, quella che ha subito le epurazioni selvagge del settembre-ottobre 1943, quella che ha vissuto gli infoibamenti di massa del maggio 1945, quella che ha subito abbandonato le zone passate sotto il controllo jugoslavo o che le ha lasciate dopo il 10 febbraio 1947.

Il Trattato non è cautelativo nei confronti delle minoranze che vengono assegnate alla Jugoslavia, come dimostra il riferimento alla necessità di garantire ai cittadini italiani diventati jugoslavi «il godimento dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali»: un'ipocrisia diplomatica, inserita nel documento come garanzia formale, in una stagione di cristallizzazione dell'Europa in due blocchi contrapposti, dove non sono possibili intromissioni degli uni nella gestione interna degli altri.

Per tutti la guerra è finita nell'aprile 1945: per i giuliani è continuata nei due anni successivi, ma con il meccanismo del Trattato di pace essa continua ancora dopo il 1947. E continua l'emergenza a Trieste e nei paesi limitrofi: il Territorio Libero di Trieste, figlio del negoziato, non nasce perché la logica della Guerra Fredda trasforma la città in un baluardo dell'Occidente, la porta estrema oltre la quale si innalza minacciosa la "cortina di ferro".

La costituzione del Tlt rappresenterebbe un rischio di instabilità, perché l'area apparirebbe priva delle necessarie difese e il blocco comunista potrebbe usare il regime internazionale come copertura per assicurare il controllo jugoslavo della città. Di fatto, prosegue così la divisione sancita dalla linea Morgan, con la Zona A affidata all'amministrazione militare anglo-americana, e la Zona B sotto controllo jugoslavo.

Il resto è storia nota: un decennio di insicurezza, i morti triestini del novembre 1953, il Memorandum d'Intesa del 5 ottobre 1954 che assegna definitivamente la Zona B al governo di Belgrado e restituisce Trieste all'Italia, la delusione e il nuovo esodo degli Istriani del nord, i decenni di marginalità geografica vissuti a Trieste sino alla caduta del Muro.

Tutti gli Italiani hanno perso la guerra: pochi ne hanno pagato il prezzo.

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