Trieste protagonista a Cannes. «Il Pedocin? Un muro che regala la libertà» VIDEO

CANNES. Dal Pedocin alla Croisette il passo è breve. Distesi e sorridenti, perfettamente a loro agio, Thanos Anastopulos e Davide Del Degan hanno raggiunto l'esclusiva località della riviera francese portando al Festival di Cannes la quintessenza dell'umanità triestina. Nelle Séances Spéciales, l'anteprima mondiale del loro film "L'ultima spiaggia", un "Sacro Gra" triestino con più verità, in cui si riflette sull'idea di confine, di identità e di libertà, lasciando emergere attraverso i personaggi naturali la storia e il "carattere" della città. Le immagini sono state riprese nell'arco di un anno all'interno dello stabilimento balnerare "La Lanterna", con pazienza e discrezione, restando semplicemente a osservare ciò che capitava all'interno di questo luogo così speciale che ancora conserva - ultimo in Europa - un muro che divide gli uomini e le donne.
Dall'ultima spiaggia al primo Cannes, come vi sentite?
Anastopoulos: «Il salto è grande, perché il "Pedocin" è una spiaggia popolare, mentre qui siamo in una località esclusiva. Ma il cinema popolare a volte ha questa forza».
Del Degan: «Per noi è stata una sorpresa arrivare qua con un progetto che nasce dall'amore comune per questo luogo speciale».
Com'è nata l'idea?
Anastopoulos: «Conoscevo questa spiaggia perché la mia compagna, che è triestina, la frequentava assieme a nostro figlio. Mi è sembrato un luogo bizzarro, abitato da un'umanità particolare, che si prestava a essere raccontato attraverso il cinema. Un luogo che mi ha fatto riflettere sulle divisioni, sui confini, sulle discriminazioni. Poi ho saputo che anche Davide aveva in mente un'idea simile e allora abbiamo pensato di realizzarla insieme».
Del Degan: «Io ho frequentato il Pedocin da bambino, con i miei nonni, con il privilegio, fino a 12 anni, di poter passare da una parte all'altra. Raccontare questo luogo, sospeso nello spazio e nel tempo, è sempre stato il mio sogno».
Avete trovato uno sguardo comune?
Anastopoulos: «Ci ha uniti il desiderio di osservare l'umanità che frequenta questa spiaggia e avevamo un'idea simile su come realizzare il film: girare sempre in due, niente interviste, non provocare nulla. Dovevamo stare lì e aspettare che accadesse qualcosa».
Del Degan: «Uniti da un approccio comune, ci stimolava l'idea di avere due punti di vista simili, ma diversi. Ci siamo completati».
Come vi hanno accolto al Pedocin?
Anastopoulos: «Siamo stati chiari fin dall'inizio su ciò che volevamo fare, anche rispettando chi non voleva essere ripreso. Questo ci ha permesso di ottenere la loro fiducia. Con gli uomini è stato facile. Con le donne meno. Inizialmente erano più diffidenti, quasi seccate. Ma alla fine tutti sono stati molto generosi».
Che significato ha quel muro che rende il Pedocin così speciale?
Del Degan: «Ha un che di paradossale, perché quel muro che divide, in realtà regala momenti di libertà. Chi lo frequenta si sente libero dal giudizio dell'altro sesso e può comportarsi come vuole».
Anastopolusos: «La spiaggia è un'eredità dell'impero austroungarico e per i triestini è un luogo identitario. Pensavo che questo sarebbe stato l'ultimo muro d'Europa, e invece oggi si innalzano nuove barriere».
È una storia solo triestina o può diventare universale?
Anastopoulos: «Angelopoulos mi ha insegnato che una storia molto locale può diventare universale, dipende dallo sguardo».
Quando si potrà vedere il film a Trieste?
Anastopoulos: «Ci sono trattative in corso per la distribuzione del film. Speriamo presto».
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