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Di Francesca Pessotto
Bumbaca Gorizia 22_05_2016 èStoria 042 RM Marx schiavi salario © Fotografia di Pierluigi Bumbaca
Bumbaca Gorizia 22_05_2016 èStoria 042 RM Marx schiavi salario © Fotografia di Pierluigi Bumbaca

di FRANCESCA PESSOTTO

L’ambizione alla libertà ha mosso la storia umana fin dalla sua genesi, producendo effetti diversi e contrari ma portando così facendo la storia ad evolversi secondo contrazioni ed espansioni, seguendo la tendenza ad un confronto che ha prodotto la lotta per la sua conquista.

A parlarne a èStoria ieri mattina con il giornalista Armando Torno è stato Gianni Vattimo, uno dei più importanti filosofi contemporanei, studioso e originale prosecutore del pensiero di Heidegger, professore emerito dell'Università di Torino, tra i fondatori della corrente filosofica del pensiero debole. «Il pensiero debole è nato come alleggerimento dei rapporti sociali, condizionati dalla produzione e dal progresso tecnologico, per raggiungere una forma di liberazione. Oggi più che mai l'uomo aspira alla sua indipendenza dai dogmi religiosi e dell'autoritarismo delle istituzioni politiche e civili o di certe visioni ideologiche. Attraverso lo studio di Heidegger, che critica il mondo tardo-moderno preda della tecnologia, del controllo, della globalizzazione, mi sono convinto che la verità non è quella delle scienze, ma è quella della tradizione, della storia dell'Essere, del dialogo. Il Pensiero debole è una filosofia della storia di tipo fondamentalmente cristiano, che vede l'emancipazione umana come progressiva riduzione della violenza naturale».

Partendo dal pensiero di Karl Marx e dalla sua visione economica e sociale, Vattimo si è interrogato su come modernità e progresso abbiano celato sotto una forma di libertà fittizia la situazione esistenziale della classe lavoratrice. «La colpa della violenza e della schiavitù di questa società è il capitalismo. Il marxismo ha ripreso la lezione hegeliana ravvisando nella classe, come appartenenza e unione volontaria e condivisa, una forma di liberazione. I filosofi finora hanno solo interpretato il mondo, ma la liberazione si attua solo nel cambiamento. Heidegger, filosofo della prassi, diceva che l'errore che grava su di noi è la metafisica, cioè la pretesa di descrivere le strutture dell'Essere e adeguarci a esse. La verità dell'Essere è l'accadere di progetti, e non la struttura data».

L'uomo si può definire essenzialmente libero? «Nella società è impossibile che non ci siano rapporti gerarchici di dipendenza. Questo va accettato come male inevitabile, ecco perché infatti la libertà è compito dello Stato. Quello che l'uomo può fare è operare per conquistare uno stato di libertà. La sua antitesi, la schiavitù, è uno stato dinamico, un movimento che intrinsecamente tende verso la libertà. Non è tuttavia corretto definirci "schiavi", siamo piuttosto in una continua situazione di dipendenza dall'altro, che talvolta si irrigidisce in sottomissione eccessiva, mentre talaltra si palesa come naturale dipendenza nei confronti di un "auctor", ad esempio nel caso del figlio col genitore. L'esistenza consiste essa stessa nella liberazione dalla schiavitù. Il termine "Signore" che ha definito il ruolo prima di tutti di Dio, connatura chiaramente questo rapporto necessario di dipendenza, non per forza ne. gativo. Lo stesso Platone diceva nel suo Simposio che essere innamorati di qualcuno non rende liberi, ma felici di questa schiavitù».

Una riabilitazione della definizione di schiavitù attraverso quella di libertà? «Dipende dall'interpretazione che si dà di schiavitù: schiavitù e libertà come estremi totali sono pura astrazione, nessuno è totalmente slegato dal rapporto con l'altro. Non si comincia mai da zero, ma ci si trova ad esistere sempre inclusi automaticamente in qualche situazione. Essere figlio vuol dire nascere già in dipendenza dei genitori. In Hegel la dialettica tra padrone e schiavo chiarisce come la schiavitù sia una condizione di partenza chiara e agevole da cui si può cercare di reagire, un trampolino per la libertà, la possibilità del rovesciamento della situazione». La nostra è un'epoca libera? «Sentirsi liberi significa lottare per la libertà; realizzarla sarebbe la fine, la morte. La libertà non è solo tempo, è anche spazio. Il mondo occidentale si sente libero, ma gli altri mondi che ha attorno? L'idea di libertà si spiega nella dialettica che include anche ciò che c'è fuori».

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