«Tutta da ridere la mia Italiana ad Algeri»

TRIESTE. "La perfezione del genere buffo” - così Stendhal definì l’Italiana in Algeri, scritta da Rossini a 21 anni, “nel fiore del genio e della giovinezza". Dal domani al 3 giugno il Teatro Verdi di Trieste affiderà questo capolavoro alle mani del direttore greco George Petrou e alla regia di Stefano Vizioli. La coproduzione con il Teatro di Pisa proporrà al pubblico l'esilarante avventura esotica, condita da ispirazioni patriottiche, dell’intraprendente Isabella che attraverso le armi della seduzione salva l’amato dalle mani del bey Mustafà e se stessa dal serraglio. Nel primo cast Mustafà sarà Nicola Ulivieri, la moglie turca Giulia Della Peruta, la vivace Isabella verrà interpretata da Chiara Amarù, mentre per il ruolo del suo Lindoro ci sarà il gradito ritorno di Antonino Siragusa. Il comico cicisbeo Taddeo avrà la voce di Nicolò Ceriani, Zulma e Haly saranno Silvia Pasini e Shi Zong.
Vizioli è un piacevole ritorno per il teatro triestino, dove ha firmato in passato diverse produzioni, tra le quali “l’Italiana”nel 1991. Ma la frequentazione con quest’opera conta nella sua carriera anche altre tappe, come racconta lo stesso regista: «Dopo Trieste ne ho firmate altre due negli Stati Uniti, quindi sarà il mio quarto incontro con quest’opera. È come ritrovare una vecchia amica, perché è uno spartito che amo in tutti i sensi. Ogni volta ritornano alcune idee che si sono dimostrate efficaci, ma le nuove situazioni nascono spontaneamente. Basta “entrare in confidenza”con lo spartito, perché Rossini è il miglior regista delle proprie opere».
Nel comico gli aggiornamenti sono generalmente meno frequenti. Il vostro spettacolo riporta alla Turchia di fantasia immaginata dal compositore?
«Direi di si. Amo le “finte tradizioni”, offrire al pubblico situazioni riconoscibili, anche se non sono contrario alle trasposizioni. Italiana è un’opera talmente spumeggiante che non ha bisogno di particolari rivisitazioni: è un meccanismo a orologeria perfetto».
Tuttavia il libretto propone spunti su argomenti molto sensibili e attuali: il rapporto con l’Islam e l’emancipazione femminile, in un’ode alle donne italiane.
«Parlando di confronto tra civiltà, le opere hanno sempre giocato su stereotipi che servono alla macchina teatrale. L’Oriente veniva dipinto tuttavia in modi antitetici, truce e oppressivo da una parte, nobile e raffinato dall’altra. Rossini non si occupa di questa schizofrenia concettuale, ma per i registi trattare simili argomenti si presta oggi a molte strumentalizzazioni. Paradossalmente stiamo vivendo un’epoca di notevole regressione culturale, anche a livello censorio».
Possiamo dire che nell’Italiana la solidarietà tra una donna musulmana e una cristiana che le indica un codice di comportamento più libero rientra in un contesto fondamentalmente comico...
«La comicità è sempre in un rapporto molto sottile con la tragedia: significa ridere con autoironia di quelle situazioni che, prese troppo sul serio, portano a catastrofi. In questo “genere” la difficoltà è creare nei solisti un leggero distacco dal personaggio, permettendo loro di ridere di se stessi, guardandosi per un attimo dall’esterno».
Il pubblico guarderà invece un allestimento del pittore Ugo Nespolo.
«Il mondo di Nespolo è coloratissimo, vivace, per certi aspetti gioiosamente infantile, denso di allusioni e ironia. La partitura di Italiana in Algeri è perfetta per un artista come lui. Ma mi interessava anche riproporre una “grammatica scenografica” antica, fatta di fondali dipinti, quinte, bidimensionalità, riletta in chiave pop. Il problema quando si lavora con artisti viventi è che l’opera diventi una specie di esposizione personale, ma con Nespolo non è stato così: insieme abbiamo tentato di individuare i trucchi e i colpi di teatro offerti da Rossini. E dei quali ridiamo oggi come 200 anni fa».
Cosa racconta Vizioli, accanto a Rossini, con l’Italiana in Algeri?
«La volontà di offrire un gioco di squadra. Non deve vincere l’ego del singolo, ma l’opera stessa. Mi rivolgo a chi non è mai venuto a teatro e non ha mai ascoltato l’Italiana, con il desiderio che, dopo aver visto lo spettacolo, abbia voglia di ritornare a teatro, non per il regista o il singolo cantante, ma per reimpossessarsi di un patrimonio che gli appartiene. Permane lo stereotipo che l’opera sia un genere per vecchi o per ricchi, mentre appartiene a tutti, al contrario dell’idea che cercano di imporci a livello massmediatico».
Riproduzione riservata © Il Piccolo