Umberto Orsini leggeva rogiti da un notaio e le segretarie gli dissero «Perchè non fai l’attore?»

il personaggio
È stato sulla copertina di Vogue, ha giocato a poker con Celentano, ha condotto una trasmissione di cucina nei primi anni Settanta. Ha avuto accanto donne bellissime, le sue storie sono finite sui rotocalchi quando ancora non si parlava di gossip. Quella con Rossella Falk, ad esempio, per cui litigò con il rivale Roberto Salvatori, che poco cavallerescamente se la prese con la donna, cui lasciò un livido curato prontamente con una bistecca. Oppure il legame ventennale con Ellen Kessler, la più chiacchierona delle gemelle gambelunghe. Ma soprattutto il teatro, di cui Umberto Orsini è ormai, a 85 anni, uno degli ultimi mostri sacri della scena italiana. Attore classico, che viene dall’accademia, ma che ama sperimentare, buttarsi nell’insolito, affidandosi a registi come Pippo Delbono o Alessandro Serra, uno che ha fatto il Macbeth in sardo e adesso lo dirige nella sua ultima fatica, ‘Il costruttore Sollness’.
Un’attività che prosegue incessante, non solo come attore ma anche come impresario della propria compagnia, e che ogni anno lo porta a fare circa 170 recite. Una carriera e una vita ricca di incontri e di successi che meritava di essere raccontata.
Almeno così la pensava l’editore Laterza, che gli ha proposto un’autobiografia. Detto e fatto, Orsini si è buttato nell’impresa col fuoco dell’Ariete qual è, e in sei mesi, scrivendo nei lunedì liberi dagli impegni di scena, ha finito ‘Sold out’ (tutto esaurito, parola magica per ogni uomo di teatro) che presenterà con il critico Masolino d’Amico stasera a Pordenonelegge (alle 20.30 al teatro Verdi).
A chi gli fa notare come nel libro abbia parole di stima per quasi tutti i colleghi con cui ha lavorato, Luca Ronconi, Corrado Pani, Gabriele Lavia, Giorgio Santuccio, fino ai giovani come Lino Guanciale, la lista è infinita, senza mai un livore, neanche un’alzata di voce, risponde di non sentirsi un buono, ma sicuramente appagato. «Non ho rimostranze o rancori, capisco le ragioni degli altri e mi adeguo”, dice con la sua voce inconfondibile, quella con la quale a Novara, dove è nato, leggeva i rogiti nello studio del notaio in cui, studente di legge, faceva pratica. E li leggeva così bene che le segretarie, anche un poco invaghite di quel bel ragazzo, gli dicevano “ma perché non provi a fare l’attore?».
Così poco dopo, «senza peraltro avere nessuna vocazione», prese il treno per Roma. L’inizio di un lungo viaggio che lo ha portato dalle risaie a Hollywood, dove è stato a girare un film con Angie Dickinson, «ma non aveva quelle gambe fantastiche di cui si favoleggiava, io di gambe femminili avevo una certa esperienza», scrive con ironia ripensando al dadaumpa delle Kessler.
«Mi sono divertito, sono grato alla mia vita, mi ha dato quello che volevo» dice oggi. Neanche un sassolino da togliersi, possibile? Forse uno c’è, ammette: «Mi spiace di non venire a Trieste con il ‘Sollness’ che sto portando in giro in questi mesi, ma ci sono logiche dentro le programmazioni dei teatri che sono sbagliate, anche se in qualche modo le posso capire. Il ‘Rossetti’ non può sottrarsi al gioco delle parti di scambiare i propri spettacoli con quelli di altri teatri stabili. “Così la mia compagnia è tagliata fuori». In fondo, ma proprio in fondo, ammette di avere qualche scontento con il sistema teatrale e con le istituzioni.
Nel racconto della sua vita, svela anche qualche episodio dell’adolescenza, la fase in cui si definisce l’identità sessuale. Mai pensato di entrare in analisi? «No, risponde, sicuro, mi sono sempre analizzato molto bene da solo».
La sicurezza di sé non gli fa difetto, però non affronta la regia. «Il teatro è collaborazione con un coinquilino della mia casa, il regista che divide con me la proprietà di un appartamento». Perfezionista, ha raccontato che per anni faceva footing con una matita in bocca per chiarire la dizione. Dice che ama rischiare al punto da sognare di chiudere la carriera con clamoroso insuccesso. Eppure non ce la fa. Anche il gradimento di ‘Copenhagen’, dove metteva in scena il confronto tra due fisici, tra equazioni e formule matematiche, è stato il solito: sold out. —
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