Un balletto di morte attorno alla vita del “bambino indaco”

Il nuovo film di Saverio Costanzo parla di amore e ossessività di cibo e maternità distorta: procede su un terreno minato
Di Elisa Grando

“HUNGRY HEARTS”, regia Saverio Costanzo, interpreti Alba Rohrwacher, Adam Driver, Roberta Maxwell, Jake Weber, Natalie Gold (Italia, 2014)

Amore, cibo, ossessività, maternità distorta: l’ultimo bellissimo film di Saverio Costanzo procede su un terreno minato, zeppo di temi disturbanti, ma straordinariamente contemporanei. La vicenda, tratta liberamente dal romanzo di Marco Franzoso “Il bambino indaco” (Einaudi), racconta dell’italiana Mina e dell’americano Jude, gli straordinari Alba Rohrwacher e Adam Driver, che alla scorsa Mostra di Venezia si sono aggiudicati entrambi la Coppa Volpi per la miglior interpretazione maschile e femminile.

I due s’incontrano per caso in un ristorante cinese di New York, s’innamorano, in breve tempo si sposano e scoprono di aspettare un bambino. Mina però si convince che la creatura che porta in grembo sia un “bambino indaco”, un piccolo che, secondo una credenza nata in seno al movimento New Age, è dotato di poteri speciali e forte spiritualità, e va quindi mantenuto “puro”, protetto dall’inquinamento del mondo. Mina comincia quindi a selezionare ossessivamente ciò che mangia e, quando il bimbo nasce, lo nutre solo con verdure coltivate sulla sua terrazza, niente carne, niente pappe industriali.

Ma il piccolo comincia presto a mostrare i segni di una evidente malnutrizione. Di questo inconsapevole balletto della morte è testimone il padre: all’inizio, per amore e fiducia nei confronti della compagna, non la contrasta. Quando però si accorge che il bimbo è in pericolo di vita capisce che deve intervenire, innescando un conflitto muto e spietato anche all’interno della coppia. Saverio Costanzo, che mercoledì 21 gennaio verrà insieme ad Alba Rohrwacher a presentare il film al Visionario di Udine (ore 20) e a Cinemazero di Pordenone (ore 21.15), firma da sempre un cinema coraggioso, a volte più riuscito (“Private”) a volte meno (“La solitudine dei numeri primi”, tratto dal celebre romanzo di Paolo Giordano), ma comunque incapace di lasciare il pubblico indifferente. Nel panorama appiattito di molto cinema italiano di oggi, questo è certamente un pregio. Ecco perché “Hungry Hearts” è un film disturbante, a tratti respingente, ma necessario: parla di passione di coppia e amore materno portati alle estreme conseguenze ma lo fa attraverso il corpo, territorio di tutte le grandi idiosincrasie contemporanee, continuamente plasmato e testato da teorie salutiste, correnti alimentariste, crociate estetiche. In un’epoca in cui, sulle nostre tv, scorrono non stop reality show a sfondo culinario. «Oggi il cibo è uno dei temi più importanti della nostra vita: in televisione c’è sempre qualcuno che sta cucinando qualcosa, ci sono gare di cuochi ovunque. Il mondo in qualche modo ci sta avvelenando, e quindi restare “puri” attraverso il cibo è diventata quasi una fede», ha dichiarato il regista. «Il comportamento di Mina è frutto dei nostri tempi: inimmaginabile, negli anni ’50, una madre che toglie la carne al proprio figlio». Costanzo ha scelto, a ragione, di spostare l’ambientazione italiana del romanzo a New York, dove ha vissuto qualche anno e dove, dice, se non si hanno molti soldi trovare del buon cibo è effettivamente quasi impossibile. Dove, insomma, è ancora più facile cadere nella grande contraddizione di farsi del male proprio cedendo a fanatismi alimentari attraverso i quali speriamo di stare meglio.

Girato quasi tutti in un piccolo appartamento di Harlem, in poche settimane con troupe e budget ridotti, come un tesissimo duello muto imploso in quattro mura, “Hungry Hearts” è un thriller dell’anima che non molla la presa fino all’epilogo. Di certo è un film per stomaci forti, ma non perché mostri violenza, al contrario: a gelare le viscere è l’orrore che non esplicita, la follia strisciante che lascia solo intravvedere. Il merito di tanta potenza è di una regia claustrofobica, con la macchina da presa che resta addosso ai protagonisti e distorcendo corpi e ambienti, sempre in bilico fra dramma sentimentale e horror classico. Gran parte del film, però, poggia su Alba Rohrwacher e Adam Driver, quasi sempre soli in scena, eccezionali. “Hungry Hearts” sembra uno di quei piccoli capolavori indipendenti americani, un dramma al femminile alla Cassavetes: un vera scossa per il cinema italiano.

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