Un inglese a Trieste a caccia della Bora trova la città in attesa

Domani nell’ambito del festival BoraMata il libro di Nick Hunt “Dove soffiano i venti selvaggi”

Ma non potrebbe essere la Bora a dare la carica a Trieste, a spazzare le ragnatele che la imprigionano nel suo fastoso passato, a svegliare i suoi sonnacchiosi abitanti? D’accordo, il rilancio del porto, la nuova Via della seta, mettiamoci pure il Parco del mare, ma perché non affidarsi al nostro caratteristico e gelido vento? Basta aspettare e prima o poi lei, la Bora, ti verrà a snidare e forse ti prenderà pure a schiaffi, svegliandoti dal tuo torpore. Questa è almeno l’idea che si è fatta l’inglese Nick Hunt, che, all’inseguimento dei venti più caratteristici della vecchia Europa, imbottigliati nel libro “Dove soffiano i venti selvaggi” (Neri Pozza, pagg. 272, euro 17), è approdato anche a Trieste, alla ricerca della mitica Bora.

Zaino in spalla, perché “solo camminando si avverte la mano del vento sulla schiena, o si barcolla rischiando quasi di cadere quando ti assale di sorpresa in cima a una collina”, Hunt ha risalito le morbide cime dei monti Pennini, nel nord dell’Inghilterra sulle orme del devastante Helm, si è addentrato in Svizzera fino al cuore delle Alpi per scoprire se, come dicono i tedeschi, vale davvero quanto un asciugacapelli il soffio caldo e secco del Föhn. Poi ha ridisceso la valle del Rodano per giungere nel sud della Francia ad aspettare l’irrompere del vento della follia, il Mistral, che accompagnava il canto dei trovatori occitani.

Finché nel suo peregrinare Hunt giunge a Trieste, una delle tre porte da cui irrompe la Bora, figlia di Borea, il dio dell’inverno dalla barba di ghiaccio, per provare l’ebbrezza di un corpo a corpo con la furia del vento. Girovagando per la città in un gennaio soleggiato, Hunt invoca la sfida del vento ma, in una calma piatta e con le previsioni contrarie, deve accontentarsi di trovare alcuni indizi. La faccia stravolta di un cherubino che soffia sulla rosa dei venti del molo Audace, il museo (per lui alquanto kitsch) dedicato alla Bora, al cui fondatore, Rino Lombardi, promette di portare una fiala di Helm, il vento che manca alla collezione in scatola del museo. Passano i giorni, l’aria rimane immobile e intanto Hunt scopre la contraddizione di una città italiana che ha una architettura mitteleuropea, ne registra la sua atmosfera sonnolenta, dove tutti sembrano sperduti, legge le pagine di Jan Morris e vi riconosce la definizione di “allegoria del limbo”. Immerso in questa bassa pressione di melanconia e tristezza, ascolta le parole di una slovena, Mara, che gli suonano come una rivelazione. “Amo la Bora perché ripulisce l’aria e ci fa sentire tutti vivi”. Allora, dice Hunt, questo posto messo in un angolo dalla storia che stilla nostalgia forse attende una bella sferzata di Bora che come un energico elettroschock la possa resuscitare. Un’interpretazione della quale si potrà discutere con l’autore in persona domani alle 19 in piazza Ponterosso, quando Hunt presenterà il suo libro dialogando con Riccardo Cepach in occasione degli eventi legati a BoraMata, la festa della Bora che si svolge da oggi al 3 giugno nel cuore della città.

La Bora non scende dall’altipiano, allora Hunt decide di provare a cercare fortuna nelle altre due porte. Si rimette in viaggio, oltrepassa il ciglione carsico, entra in Slovenia dove la Bora si chiama Burja. Nella valle del Vipacco ne scopre altre tracce. È stato qui che Teodosio sconfisse Eugenio nel 394 d. C. proprio grazie alla Bora, che aveva sollevato un polverone accecando i soldati dell’usurpatore e spianando la strada alla diffusione del cristianesimo. Sale sul Nanos, vi ridiscende, arriva a Postumia ma la Bora non vuole saperne di manifestarsi. È in una Croazia in piena emergenza migranti (Hunt ha compiuto il viaggio nel 2016) e da Fiume, la seconda porta della Bora, si arrampica sulla catena del Velebit, finendo col perdersi nella neve e nella nebbia gelata. Rischiare la vita per un vento? Forse è troppo anche per un eccentrico inglese che sa che in molte lingue le parole per indicare lo spirare del vento, il respiro e lo spirito sono uguali.

Viaggiatore che ’ha studiato’, che cioè alle impressioni che raccoglie intreccia anche un riassunto storico delle regioni toccate, Hunt è abile nel destreggiarsi nel non facile territorio spazzato dalla Bora, dove si va dalle foibe alle guerre balcaniche. Proseguendo nel suo cammino con un andamento sinuoso, perché in inglese wind può anche voler dire viaggiare seguendo i meandri del mondo, come fa il vento stesso, giunge a Senj, la terza porta della Bora, orgogliosa delle leggende sui pirati Uscocchi che grazie alla forza del vento che soffiava a loro favore sconfiggevano le navi veneziane che cercavano di stanarli. Ma è solo a Spalato, a 500 chilometri da Trieste, che finalmente Hunt incontrerà la Bora, quella scura prima e quella chiara dopo e felice di rimbalzare contro il muro gelido, con l’aria nei polmoni, può finalmente “come un fanatico religioso” liberare il suo grido di gioia.

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