Un re allo sbando attraversa l’Europa da profugo

Esce il film di Jessica Woodworth e Peter Brosens: on the road tra bus, pullman, barconi

ROMA. «Il Belgio vive un periodo molto triste, con la presenza degli estremisti. L’Europa e il mondo sembrano allo sbando ed entriamo in una fase molto pericolosa, soprattutto con Trump che è una disgrazia, perché non merita il posto che ha. Io sono americana ma non ho votato per lui. Di fronte a questa crisi mondiale, non bisogna arrendersi, è il momento di fare satira«. Lo dice in un italiano fluente, Jessica Woodworth, che insieme al marito Peter Brosens ha diretto il mockumentary (finto documentario)/commedia on the road 'Un re allo sbando’ che dopo il successo a Venezia in Orizzonti, arriva in Italia il 9 febbraio (con alcune anteprime il giorno prima).

Protagonista della storia è Nicolas III (Peter Van Den Begin), re del Belgio in crisi d'identità e oppresso dal protocollo, che durante una visita di Stato in Turchia, viene a sapere che il suo Paese è entrato in crisi perché la Vallonia ha appena chiesto l'indipendenza. Visto che un'improvvisa tempesta solare ha bloccato i voli e le comunicazioni, l'unico modo che il monarca trova per tornare a casa è imbarcarsi con il suo seguito e il regista inglese (Pieter Van Der Houwen) che sta girando un documentario su di lui, in un folle viaggio attraverso l'Europa. Tra un mezzo di fortuna e l’altro (autobus, pullmini scassati e anche una carretta del mare, come i profughi) passano per Bulgaria, Serbia, Montenegro, Albania, trovando l'aiuto, fra gli altri, del gruppo folk femminile delle Sirene del mar nero, i mascherati kukeri, un gruppo di ciechi e un ex cecchino serbo. Un percorso tragicomico per il re, e non solo, di scoperte personali e sul rapporto con la vita reale.

«L'idea per “Un re allo sbando” - vincitrice con il marito nel 2006 del Leone del Futuro a Venezia con Khadak - ci è venuta tra il 2010 e il 2011, quando è scoppiata la crisi politica in Belgio, che ha lasciato il Paese senza governo per 589 giorni. E ci ha ispirato una storia vera, quella del primo ministro dell'Estonia, che dopo essere rimasto bloccato in Turchia dall'eruzione del vulcano islandese Eyjafjoll, tornò nel suo Paese attraversando i Balcani in autobus, senza protocollo e senza sicurezza».

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