Un testimone e un sicario a Sauris Via dalla Sicilia, scoprono Paradise

Il nuovo film di Davide De Degan sarà presentato in anteprima il 19 gennaio al Trieste Film Festival



Dalla Sicilia a Sauris, due mondi distanti e antitetici a confronto. Dopo essersi avventurato nel tran-tran quotidiano dello stabilimento balneare più amato di Trieste (il “Pedocin” de “l’Ultima spiaggia”, documentario del 2016 co-diretto assieme a Thanos Anastopoulos), il nuovo film di Davide Del Degan nasce da una contrapposizione di opposti, respira nel paradosso, prende spunto dalla diversità. La storia di due uomini, entrambi “outsider”, due emarginati del mondo che il destino ha beffardamente deciso di unire. Uno è il testimone di un delitto di mafia, costretto suo malgrado a una nuova vita sotto protezione; l’altro è uno dei sicari, nel frattempo pentito. Entrambi finiscono per caso o per errore nello stesso posto: in Carnia, in montagna, solo neve e ghiaccio a perdita d’occhio.

Il titolo è “Paradise - Una nuova vita”, prodotto dalla triestina Pilgrim e A-Atalanta con Rai cinema, con il sostegno dello Slovenski filmski center, Viba Film, Film Commission Friuli Venezia Giulia e Fondo regionale per l’audiovisivo, e il suo viaggio è già cominciato in autunno in Corea, a Busan, dove si è svolta l’anteprima mondiale, e poi al festival di Torino, nella sezione After hours e al K3 di Villach, in Austria, prima di approdare definitivamente nelle sale italiane la prossima primavera distribuito da Fandango. In città, però, lo vedremo in anteprima il 19 gennaio alle 20, inserito nel calendario di Trieste Film Festival come evento speciale fuori concorso al Politeama Rossetti.

Nato nella stessa fucina produttiva e di idee di “Easy - Un viaggio facile facile”, con il film di esordio di Andrea Magnani (che qui firma la sceneggiatura) “Paradise” mostra qualche assonanza. C’è l’idea del viaggio, del confine, l’iniziale stupore e la scoperta di una realtà sconosciuta alla quale adattarsi. Ma quella che a un primo sguardo può sembrare una commedia degli equivoci, si sviluppa poi come una storia dai risvolti teneri ma anche amari, ispirata in parte al dramma realmente vissuto dai testimoni di giustizia, la cui esistenza è letteralmente sconvolta dall’oggi al domani per la sola colpa di trovarsi al momento sbagliato nel posto sbagliato.

«Fin dall’inizio - racconta Del Degan - abbiamo pensato a una storia di redenzione e rinascita. Un racconto che potesse avere un respiro universale. E l’esperienza di queste persone così generose e fedeli a dei principi etici e morali, disposte a ricominciare da zero pagando un prezzo altissimo per la loro scelta di contribuire alla giustizia, ci è sembrata illuminante».

Si prova tenerezza per l’attonito personaggio interpretato da Vincenzo Nemolato, che incorniciato da improbabili ricci biondi è il performer di una comicità “slapstick” che fa pensare a Harpo Marx, spaesato, spaventato, arrabbiato, infine (forse) pronto a una seconda chance. «La distanza tra la Sicilia e Sauris è radicale. Per ambiente, clima, colori. Per un siciliano che non ha mai abbandonato la sua terra, arrivare sui monti e confrontarsi con diverse usanze, così stravaganti ai suoi occhi, rappresenta uno shock. Ma quella distanza, un po’ alla volta, diventa occasione di crescita, l’opportunità per superare alcuni confini interiori che mai prima di allora aveva messo in dubbio. La durezza dell’ambiente è anche uno specchio del suo stato d’animo, il silenzio della montagna un eco della sua solitudine».

Ma più inaspettatamente viene naturale avvicinarsi al personaggio del killer con il volto di Giovanni Calcagno che, scandagliando le profondità dell’animo fino a toccare sfumature commoventi e sincere, riesce a sottrarsi allo stereotipo del mafioso. «Dramma o commedia? Ho cercato di raccontare la vita. E la vita ti porta a incrociare sia il sorriso che il dolore». La parabola di formazione dei personaggi di “Paradise” si chiude in un finale ambiguo, sospeso tra sogno e realtà: «Quasi un doppio finale aperto che lascia la porta aperta alla speranza - conclude Del Degan -. Bisogna sempre lasciare un po’ di speranza, lo spettatore potrà trovare dentro di sé la risposta che crede più giusta». —



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