Un viaggio lungo Isonzo e Tagliamento chiedendosi qual è il loro sesso

Paolo Marcolin
Ma un fiume è maschio o femmina? La domanda sorprende i tre amici che stanno per partire per un viaggio che li porterà dalla sorgente del Tagliamento fino alla sua foce. E poi ancora dalle sorgenti della Soča, sotto il monte Tricorno, fino alla laguna dove si estenua l'Isonzo. Non ci avevano pensato, prima di progettare l'avventura di scendere le vene aperte dei grandi corsi d'acqua che segnano questa regione, terre di confine dove i fiumi cambiano nome, sgusciano tra i cippi segnati dagli uomini, gli fanno marameo con le loro anse. Sono sul passo della Mauria fermi come su un bilico prima di precipitarsi giù, lungo il corso del Tilaventum, come lo chiamavano i latini. Alla domanda che blocca i freni del loro vecchio furgone col quale, un po' piroga e un po' balena rifugio con il quale costeggeranno le rive, provano a rispondere Angelo Floramo, Mauro Daltin e Alessandro Venier. Gente che nella loro vita, per mestiere e vocazione, vive raccontando storie, sui libri, con le immagini, oppure tra i banchi di scuola.
Femmina, risponde uno, ricordando i graffiti di una grotta in Slovenia, che raffigurano il fiume come una donna con le gambe aperte; maschio, risponde un altro, per il quale il Tagliamento è come un padre, un amico o anche, ricordando come lo chiamavano gli accadi, Talimu, un fratello. E allora giù, che il viaggio cominci, a rincorrere la vita di un fiume, comprendere che cosa significhi nascere o morire, assecondare il suo corso. Tirando su, come fa un fiume, frammenti di storie e pezzi di vita.
Portarsi 'Il fiume a bordo' (Bottega errante, 127 pagg., 14 euro), seguendo i due corsi d'acqua simbolo del Friuli Venezia Giulia per raccogliere storie, scoprire quello che succede in mezzo, è solo apparentemente un nostalgico on the road basato sull'amicizia e sui tempi andati.
Certo, ci sono le osterie carniche, i pezzi di formaggio saporoso col profumo di malga, il vino che scorre e spumeggia come il fiume là vicino, gli incontri che restano sui taccuini della memoria oppure, meglio, immaginati sull'onda di una fata morgana delle letture o del dolce alcolico dormiveglia, come il traghettatore del Tagliamento a Pinzano.
Si potrebbe perciò pensare a un'elegia di un mondo perduto, e magari ci sta anche questo, negli occhi coi quali i tre friulani seguono amorevolmente il loro Tiliment, ma forse la chiave è quanto dice uno di loro a proposito delle gostilne slovene incontrate lungo la valle dell'Isonzo. È qui, più che sul Tagliamento, che si nota come il fiume si sia concesso alla modernità. La valle amata da Julius Kugy che vi cercava la scabiosa Trenta, il fiore simbolo del bello e dell'irraggiungibile, è adesso trafficata da austriaci, ceki e polacchi che filano sulle acque smeraldo dell'Isonzo con kayak e gommoni.
Un turismo che porta soldi e che gli sloveni giustamente coccolano, moltiplicando le gostilne. Ma, dice uno dei tre amici, succede così dappertutto, bisogna saper andare oltre, grattare sotto la nuova vernice per trovare l'antica ruvidezza, i sapori e i profumi che non sono cambiati e forse non cambieranno mai.
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