Uomini e manichini ritratti da Vanni Naspo tra maschera e finzione

L’associazione Culturale Daydreaming Project, in collaborazione con Knulp (via Madonna del Mare 7a, Trieste), ha presentato lo scorso 7 dicembre la personale di Vanni Naspo “Umani troppo Umani”. La...
L’associazione Culturale Daydreaming Project, in collaborazione con Knulp (via Madonna del Mare 7a, Trieste), ha presentato lo scorso 7 dicembre la personale di Vanni Naspo “Umani troppo Umani”. La mostra, che sarà visitabile fino al prossimo 10 gennaio, è stata introdotta da una chiacchierata esplicativa con il fotografo e Massimo Premuda che, con professionalità e competenza, ha accompagnato il fruitore nell’universo onirico della rappresentazione.


Vanni Naspo è lo pseudonimo di Nanni Spano, grafico, fotografo e curatore di eventi culturali che in questa esposizione racchiude un universo estetico articolato e complesso in cui l’apparenza risulta essenza di una quotidianità. In un tempo che non viene mai realmente definito, come nei paesaggi di De Chirico a cui l’artista si ispira, gli uomini sono manichini e i manichini sono uomini. Lo spazio incerto delle creazioni del pittore metafisico accompagnano Vanni Naspo nella ricerca della particolarità, del carattere, dell’identità in un crescendo di figure sospese nel bianco e nero.


Gli umani troppo umani sono sia i manichini, che hanno espressioni sofferenti e afflitte, sia gli uomini che recitano una parte di un copione codificato in un contesto urbano. La ricerca estetica va nella direzione di un’identità decriptata, facilmente riconoscibile e soprattutto socialmente accettata, quand’anche si tratti di un’incongruenza. Ogni scatto è la narrazione di un ruolo, i manichini sono racchiusi nello spazio stretto del non essere con la loro impossibilità d’azione, con la particolarità della chiusura nelle scintillanti vetrine espositive. «In questo ci rimandano – scrive Paola Frausin nel testo di presentazione della personale - ai replicanti di P. K. Dick, in attesa di un soffio di vita o dell’occasione di ribellarsi al loro dio/padrone costruttore. Sorte migliore sembra toccare agli umani. Potendo essi scegliere di indossare una o molteplici maschere davanti all’obiettivo - che ha tuttavia la capacità di svelare la loro intima essenza».


Le immagini che propone Vanni Naspo sono molto suggestive, evocative di una ricerca dell’umano che si è perso nei meandri dell’esteriorità. L’uso della maschera sta proprio a indicare la complessità delle sovrastutture mentali, delle miriadi di elaborazioni cognitive dei soggetti. Molte foto sono fatte in set e hanno una preparazione plastica dell’immagine; quest’approccio teatrale è una scelta ben definita che evidenzia l’importanza della composizione nella dilagante necessità di recitare se stessi.


Vanni Naspo collabora da anni con compagnie teatrali e l’impostazione della “foto di scena” si coglie nella capacità nel “rapire” l’attimo espressivo culminante del soggetto trattato. Molto intima è la relazione dei tratti somatici con gli oggetti, gli elementi, i materiali effimeri, i contorni, quasi si trattasse di una riemersione alla luce. Forse proprio di questo tratta l’indagine di Vanni della ricerca di una libertà negata e dell’ancora possibile desiderare.


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