Valentina Ferlan, la penna triestina dei “Nostri ragazzi”

VENEZIA. C'è la penna di una triestina dietro uno dei film dal tema più attuale della Mostra: è quella di Valentina Ferlan, sceneggiatrice di “I nostri ragazzi” di Ivano De Matteo, in concorso ieri alle Giornate degli autori e al cinema già da oggi. Valentina si è trasferita a Roma con la madre quando aveva 14 anni, ma torna spesso a Trieste a trovare il padre, lo zio e la nonna. Dal capoluogo giuliano è passata anche pochi giorni prima di sbarcare alla Mostra, dov’era già stata nel 2012 con il film “Gli equilibristi”, sempre diretto da De Matteo, suo marito nella vita.
“I nostri ragazzi” è tratto dal romanzo “La cena” di Herman Koch (edizioni Neri Pozza): a Hollywood anche Cate Blanchett ha comprato i diritti del romanzo e lo utilizzerà per il suo debutto da regista. La vicenda racconta un complesso caso di coscienza: due fratelli molto diversi scoprono, con le mogli, che i rispettivi figli adolescenti si sono macchiati insieme di un delitto orrendo. Che fare, a quel punto? Denunciarli per amore di verità, rovinando forse per sempre le loro vite, o rispondere all'istinto di protezione cercando di nascondere l’accaduto? Il cast è eccezionale: Alessandro Gassmann, Luigi Lo Cascio, Barbora Bobulova, Giovanna Mezzogiorno, e i giovani Jacopo Olmo Antinori e Rosabell Laurenti Sellers, che a breve vedremo anche nella serie tv “Il trono di spade”.
Valentina Ferlan, com'è nata l’idea del film?
«Leggendo il libro: volevamo parlare dell'educazione dei ragazzi oggi, tema attualissimo. Un tempo le famiglie si muovevano su rigide linee direttive, adesso scomparse; bisogna trovarne altre. È un momento di caos, non solo nell’educazione».
I giovani di oggi, come quelli del film, hanno meno percezione delle conseguenze dei loro comportamenti?
«Credo di sì, ma è difficile dire perché. Oggi le famiglie seguono i giovani in tutte le loro esigenze: forse tutta questa attenzione è un po’ deresponsabilizzante».
Anche "Gli equilibristi" parlava di famiglia: è una scelta precisa?
«Sì: la famiglia sembra una riproduzione in miniatura della società. Quando le cose accadono al di fuori della propria famiglia è facile dare un giudizio, quando accadono da vicino mantenersi integerrimi diventa più complicato, soprattutto con i figli. E ci si chiede se si conosce davvero anche se stessi».
Com'è lavorare da anni gomito a gomito con suo marito?
«È una fortuna costruire qualcosa insieme fin da giovani. Ci siamo incontrati quando avevo 19 anni: io scrivevo, lui faceva una scuola di recitazione. Pian piano abbiamo cominciato col teatro, per dieci anni, poi il cinema».
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Il Piccolo