Vanno all’asta i diari di Wladimir Dougan l’alpinista dimenticato

«Sacro dei monti ogni ricordo! Quando il mio caro Dougan ripassa questi fogli, lo faccia sempre con un sorriso sulle labbra, con la pace della montagna nel cuore, con un buon augurio e ricordo per me». È la più sentita e commovente fra le dediche scritte da Julius Kugy (1858-1944) al suo amico, pupillo e compagno di tante avventure Wladimir/Vladimiro Dougan (1891-1955), detto Miro, uno degli alpinisti triestini più forti degli anni a cavallo tra le due guerre mondiali, morto povero e dimenticato dopo essere stato ostracizzato ed emarginato dal regime fascista negli anni antecedenti lo scoppio della seconda guerra mondiale. La dedica di Kugy - l’alpinista simbolo della Trieste cosmopolita, per la sua attività esplorativa e letteraria che abbracciò senza distinzioni le culture austriaca, slovena e italiana - al suo grande amico Dougan, si legge in uno dei quattro album di fotografie conservati nell’archivio dello stesso Dougan. Si tratta di cinque diari autografi di Dougan, più quattro grandi album fotografici e un paio di libri di Kugy autografati. Un fondo importante, perché di Vladimiro Dougan si sa pochissimo, la sua figura tramontò senza quasi lasciare tracce biografiche, com’è stato ricordato nel dicembre scorso nell’ambito della Giornata internazionale della Montagna, organizzata dalla Società Alpina delle Giulie, dal Cai XXX Ottobre, dal Club alpino sloveno - Slovensko Planinsko Društvo Trst, che ha dedicato un’ampia relazione alla figura di Dougan, con la proiezione del bel film documentario di Flavio Ghio e Giorgio Gregori “Domandando di Dougan” (produzione A_Lab, regia di Giorgio Gregorio), poetico omaggio all’alpinista dimenticato con la partecipazione, fra gli altri, di Omero Antonutti. Ora i cinque diari inediti, scritti tra i 1907 e il 1930, più le fotografie, permettono di ricostruire più nel dettaglio la vita e le imprese dell’allievo di Kugy.
L’intero archivio di Dougan verrà messo all’incanto il 28 febbraio, alle 15, via Internet Live sul sito www.astebolaffi.it, dalla Bolaffi, che ha appena dato alle stampe il catalogo della tornata d’asta, tutto dedicato alla montagna (le opere saranno esposte da oggi a martedì 27 febbraio, domenica esclusa, nella sede della Bolaffi in via Cavour 17 a Torino). Oltre all’archivio privato di Dougan, sono in vendita, fra le altre cose, alcune memorabilia della conquista del K2, oggetti e attrezzi da scalata appartenuti a Ugo Angelino (compresa la sua giacca, il primo Moncler), uno degli alpinisti che partecipò alla spedizione del 1954 (morto due anni fa). Il lotto che riguarda l’archivio Dougan, il numero 66 intitolato “Julius Kugy e Wladimir Dougan, ricordi di salite alpine, escursioni e viaggi - 1907-1930”, parte da una stima di base di 3.000 euro. Per la storia dell’alpinismo triestino non sarebbe male se l’archivio potesse tornare a Trieste.
«L’archivio proviene dal Lago di Garda - spiega Cristiano Collari, curatore dell’asta e del catalogo Bolaffi - era di proprietà di un appassionato di montagna che a sua volta l’aveva acquistato dagli eredi di Dougan». «Diari e documenti sono inediti - dice ancora Collari -, le fotografie sono quasi tutte state scattate dallo stesso Kugy, e coprono un lungo arco di tempo: i documenti permettono di ricostruire a fondo le imprese e il rapporto fra Kugy e Dougan, che avevano condiviso anche la guerra».
Dougan morì nel 1955 in povertà e dimenticato da tutti. Eppure era stato uno dei più grandi alpinisti del suo tempo, e il suo nome - come è stato ricordato - «deve essere affiancato a buon diritto a quelli di Emilio Comici e Julius Kugy, di cui egli è stato l’allievo prediletto».
Wladimir/Vladimiro Dougan “Miro” era nato il 16 marzo 1891 a Roiano, da Antonio Dougan e Luigia Debelak. Era di famiglia slovena, origine che avrà pesanti conseguenze con l’avvento del fascismo, che non lo vedeva di buon occhio anche per i suoi trascorsi in guerra con la divisa dell’esercito austroungarico. Non si sa con certezza - ma i diari potrebbero chiarirlo - quando Dougan conobbe Kugy. Di certo già prima dello scoppio della Grande Guerra il giovane alpinista era stato accolto tra i pochi eletti (come Krammer e Bolaffio) che accompagnavano Kugy nella sistematica esplorazione delle Giulie: nel 1911 i due raggiunsero la cima del Ciuc di Vallisetta assieme alla guida Osvaldo Pesamosca, una salita lunga e pericolosa. Fra le imprese leggendarie rimane l’ideazione della “Cengia degli Dei”, una via ad anello mitizzata e fantastica, sul versante Nord del Gruppo del Jôf Fuart, impercorribile per le varie interruzioni con i mezzi di allora (fu portata a termine da Comici). Nel 1914 Dougan effettuò una ricognizione, che si concluse nella Gola Nord Est per le insormontabili difficoltà del tratto successivo, oggi del tutto franato, e Kugy esaltò comunque l’impresa scrivendo: «Non sono molti quelli che hanno messo il piede su quelle cenge...giovani fortunati, anzitutto il mio fedele Dougan, che, quasi parte di me stesso, vi passò per primo». Quando all’inizio delle ostilità quelle montagne divennero un caposaldo della prima linea austroungarica, Kugy, che a 57 anni si era arruolato volontario, fu là inviato per aiutare e addestrare le truppe. E anche in quella occasione volle con sé il fido Dougan. “Miro” riprese l’attività alpinistica dopo la guerra, nella Trieste diventata italiana, ma senza più il suo maestro, caduto in miseria e debilitato dalle malattie a soli sessant’anni. Nel 1923 Dougan si iscrisse alla Società alpina delle Giulie, accolto e considerato come un mito vivente. Nei dieci anni successivi Dougan effettuò numerose prime salite - anche invernali - sulle Giulie (riportate nella Guida ai Monti d’Italia firmata da Gino Buscaini), mentre si hanno solo vaghi accenni della sua intensa attività nelle Alpi Centrali ed Occidentali, dove l’alpinista triestino esprimeva al meglio l’attitudine alla progressione su ghiaccio (anche qui i diari inediti potrebbero fare chiarezza). Ma il campo d’azione prediletto di Dougan furono in assoluto le Alpi Giulie, in particolare il Gruppo del Montasio, dove tracciò molte vie, tutte in arrampicata libera su pareti caratterizzate da rocce friabili e scivolose. Ignorando gli attrezzi e le tecniche da poco introdotte da Comici, Dougan - come ha ricordato Dario Marini in un articolo del 2005 su Alpinismo Goriziano - realizzò le sue imprese con i mezzi e lo stile dei pionieri: piramide umana o lancio di un arpione per superare gli strapiombi, scarpe chiodate, “scarpèz” friulani e piedi nudi per le placche lisce, sicurezza attorno agli spuntoni. Con questi metodi di progressione estremi, Dougan superò passaggi oggi classificati di quinto grado, quasi sempre in cordata con la moglie Tea e Alberto Hesse. Grazie alle sue imprese nel 1929 Dougan venne accolto nell’empireo del Caai, il Club Alpino Accademico italiano, e nello stesso anno prese parte alla spedizione nel Caucaso, organizzata dall’industriale, fotografo e alpinista accademico Andrea Pollitzer. Era la prima volta che alpinisti giuliani si spingevano fuori dall’Europa. Dougan raggiunse nella tempesta la vetta dell’Elbrus (5642 metri), e nei giorni successivi vennero scalate tre cime ancora vergini di oltre 4000 metri. Nel 1932 partecipò a una spedizione sui monti dell’Alto Atlante, dopodiché il suo nome scompare dalle cronache della montagna. L’ipotesi avanzata da più parti è che l’alpinista silenzioso - come è stato definito - venne emarginato per volontà del regime fascista, cui dava fastidio un uomo che aveva combattuto con il nemico e che frequentava alpinisti sloveni come lui. In seguito Dougan fu colpito da una malattia invalidante e, come ricorda Marini, Pollitzer fu il solo a restare accanto a lui e alla moglie Tea, aiutandoli anche finanziariamente, fino alla morte dell’alpinista avvenuta nella più completa indifferenza. «Se fossi il Re delle Giulie - ha lasciato scritto Julius Kugy -, Dougan dovrebbe essere il principe ereditario...».
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