Viaggio “Nella tormenta” con lo spettro del figlio perduto nel tunnel della droga

Mancano pochi giorni a Natale, l’Irlanda e il nord della Gran Bretagna sono sferzate da una violenta bufera di neve. A casa di Tom la moglie Lorna e la piccola Lilly sono preoccupate: Tom deve andare a Sunderland, nell’Inghilterra Nord Orientale, a recuperare il figlio Luke, studente universitario bloccato a casa dall’influenza e dagli aeroporti chiusi per il maltempo. Il Natale lo devono passare tutti insieme, perciò toccherà a Tom, a bordo della sua Toyota Rav4, prendere il traghetto, sbarcare, arrivare fino a Sunderland e tornare indietro. È un viaggio lungo, ma Tom, che di professione fa il fotografo, munito di provviste, caffè, cd musicali e carburante è pronto ad affrontare la gita. Così, nonostante la tormenta che non si placa, Tom parte per il suo viaggio nelle neve e nel ghiaccio.
“Nella tormenta” (Bollati Boringhieri, pagg. 173, Euro 16,50) dell’irlandese David Park, è un racconto sui rapporti tra padri e figli, sul dolore della perdita, sui rimpianti in cui un uomo di mezza età può trovarsi a sguazzare a un certo punto della sua vita. Un racconto su quanto è difficile mantenere saldi i sentimenti in una famiglia squassata dalla tragedia. E sulla fragilità di tanti ragazzi, sotto i cui piedi all’improvviso può spalancarsi un abisso senza fondo.
Tom parte dunque alla volta di Sunderland, guidato dalla femminile, suadente voce meccanica nel navigatore. È un viaggio solitario attraverso strade innevate e scivolose. Ed è durante viaggi come questo che i pensieri si affollano, i fantasmi del passato riemergono, il dolore stratificato di vecchie cicatrici torna a farsi sentire. Perché il fantasma che ogni tanto compare nell’auto accanto a Tom, la voce che sembra sostituire le istruzioni del navigatore, è quella di Daniel, il primogenito, il fratello di Luke, che adesso non c’è più.
Daniel ha avuto un’infanzia felice, un’intelligenza brillante, ma a un certo punto della sua adolescenza ha sbandato ed è finito nel tunnel della droga, da dove non è più riemerso. Non ha importanza quanto tempo è passato. Per Tom la presenza di Daniel è qualcosa di vivo, qualcosa con cui deve e dovrà ancora a lungo fare i conti.
Il viaggio in macchina nella tormenta invernale diventa così la metafora dell’inverno che gela l’anima di un uomo che sa di avere le sue colpe, sa di non aver fatto forse abbastanza per salvare il figlio, sente che lo spettro di Daniel lo incolpa per aver preferito il fratello Luke: «Non è lui il figliol prodigo, gli grido contro. Non è lui il figliol prodigo e sei tu che te ne sei andato da noi e avremmo sempre voluto che tornassi e ogni notte abbiamo lasciato aperta a catenella della porta...».
Il viaggio di Tom è intercalato dalle chiamate un po’ ansiose di Lorna, dalle barzellette che al telefono gli racconta Lilly, da brevi soste e anche da un improvviso soccorso stradale: un donna è finita fuori strada scivolando con l’auto sul ghiaccio e Tom la soccorre e aspetta che arrivi l’ambulanza. Ma nonostante le distrazioni dai pensieri il fantasma di Daniel ritorna sempre, implacabile.
Ogni legame tra padre e figlio, ci dice David Park in questo romanzo teso ma non privo di debolezze stilistiche, è un legame imperfetto: «Di colpo capisci che la biologia e i geni in realtà non garantiscono un legame, che quello che esiste alla fin fine dipende solo da cosa abbiamo fatto con queste stesse mani che stringono il volante e non solo da un nome su un certificato di nascita».
Forse non potrà mai esserci pace nell’amore feroce e indistruttibile tra un padre e un figlio, perché ogni rapporto tra padre e figlio non è altro che un viaggio nella tormenta, dove c’è il rischio di perdersi e sì, la possibilità di ritrovarsi, ma anche di non poter tornare più indietro. —
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