Violenza, odio, disuguaglianze Il sogno americano si infrange e gli Usa si risvegliano smarriti

Nel nostro immaginario gli Usa sono “The Big Country”, il Grande Paese, il luogo delle straordinarie opportunità (lo si raccontava già nel titolo d’uno dei migliori western, diretto nel 1958 da William Wyler e interpretato da Gregory Peck, Charlton Heston e Carrol Baker). Adesso, invece, c’è il declino del mito, il disagio della middle class impoverita, l’egoismo di “America first” alimentato dalla Casa Bianca di Trump, la violenza dei suprematisti bianchi e le proteste che dai ghetti afroamericani s’allargano alle metropoli. Per capire meglio, bisogna leggere nel profondo l’evoluzione degli squilibri politici e sociali, con le radici antiche e il peso dei nuovi divari economici, tecnologici, culturali.
Leggere come? Affidandosi ai romanzieri migliori, a quella scrittura densa e sapiente che connota l’America maestra di dramma e di vita. E aprendo, ancora una volta, le pagine di Kent Haruf su quella Contea di Holt, un villaggio immaginario del Colorado, in cui ha ambientato i romanzi che abbiamo già molto amato (“Benedizione”, “Canto della pianura”, “Crepuscolo” “Le nostre anime di notte” e “Vincoli”) e che adesso torna davanti ai nostri occhi, sempre nella fascinosa traduzione di Fabio Cremonesi, con “La strada di casa” (NN Editore pagg.194, euro 17,10). La storia è semplice: Jack Burdette, un uomo violento e torbido, torna a Holt dopo otto anni di assenza. Era fuggito dopo aver truffato 150mila dollari agli amici agricoltori. L’ha fatta franca con la legge, senza mai finire in galera. E pretende di riavere la sua famiglia. Il paese è sgomento. Cova un desiderio di giustizia che ha sapore di vendetta, ma non sa e non vuole ricorrere alla sbrigatività della punizione sommaria. E Jessie, la moglie di Burdette, donna fragile ma determinata, dopo una vita passata a espiare, pur da innocente, il delitto dell’ex marito, non sa far altro che accettare l’ennesimo dolore, verso chissà quale fine. I temi di Haruf, raccontati con una scrittura essenziale e magistrale, ci sono tutti: la giustizia e la comunità, la provincia lacerata dalle rapide evoluzioni sociali, gli uomini e le donne incerti di fronte ai fenomeni che trascendono la morale di casa. L’America profonda smarrita, appunto.
Si può andare verso il Montana, con “L’ultima corriera per la saggezza” di Ivan Doig (Nutrimenti, pagg. 544, euro 19), seguendo i passi di Donal, un ragazzino che fugge da casa, sale su un pullman Greyhound e cerca una migliore condizione di vita, verso una malcerta adultità. Persone generose e ostili, luoghi scabri, il West come metafora d’un mondo dolente, in cambiamento. Il viaggio sa di libertà.
Ci sono anche i ritorni. E spesso riaprono vecchie ferite, come racconta Stephen Markley in “Ohio” (Einaudi, pagg. 544, euro 19,95), con quattro ex amici di liceo che si ritrovano a New Canaan, feriti dalle cronache dell’America contemporanea (l’11 settembre, la guerra in Iraq, i disagi sociali), delusi da una giovinezza che ha mancato le sue promesse. E tirano fuori il peggio di sé. Altro che sogno americano. L’inferno della provincia cova violenza.
Adesso, l’attenzione si concentra sul Kansas. Nelle pagine di “Topeka School” di Ben Lerner (Sellerio, pagg. 375, euro 15,20), uno dei dieci migliori libri del 2019, secondo le principali testate giornalistiche Usa, o anche “il maggior romanzo dell’epoca di Donald Trump”. Il protagonista è Adam Gordon, famiglia intellettuale benestante, un talento speciale: essere un campione dell’arte del dibattito pubblico, uno vero e proprio agonismo in cui bisogna saper usare la dialettica come un’arma di umiliazione dell’avversario.
È un romanzo complesso, dunque, terribile e avvincente, sul primato della vittoria e sulla paura della debolezza, sulla violenza verbale e sui vincoli del machismo che svela il vuoto d’una umanità priva di responsabilità. Il discorso pubblico s’immiserisce dietro gli slogan dei social media. E la scuola finisce per insegnare la retorica della forza e del successo, senza mai preoccuparsi del degrado verso un bullismo particolare che usa le parole e lascia ferite più profonde di quelle fisiche.
Riproduzione riservata © Il Piccolo