Vittorio Sgarbi a Trieste «Dyalma Stultus un genio della tradizione del ’900»

Il critico è intervenuto ieri alla cerimonia per la donazione al Comune da parte delle tre figlie di dieci opere del pittore e scultore triestino morto nel 1977. «Mai dubitato fosse un grande» 

la storia



In altri tempi l'auditorium del Museo Revoltella sarebbe stato gremito di appassionati d'arte a sentire Vittorio Sgarbi parlare dell'opera di Dyalma Stultus. Nell'epoca della pandemia il grosso del pubblico intervenuto ieri nella sala del maggiore museo cittadino era composto da giornalisti e addetti ai lavori.

Ma il critico d'arte, sfilata la mascherina per far sentire meglio la sua voce, non ha deluso le aspettative di chi desiderava ascoltare la riabilitazione del pittore triestino, a cominciare da due, Marina e Nada, delle tre figlie collegate in videoconferenza da Firenze.

«Tutto accadde durante una passeggiata lungo l'Arno», esordisce Sgarbi raccontando di come a lui non capiti spesso di passeggiare senza una meta apparente. In quell'occasione incontrò una delle figlie di Dyalma Stultus col marito. «Lei sapeva - continua il critico d'arte - che io da tempo mi occupavo dell'opera del padre con un istinto amoroso, tanto che avevo inserito un suo quadro in una mostra sul ritratto organizzata negli anni Ottanta. La figlia mi dice di conservare in casa diversi quadri che le avrebbe fatto piacere io vedessi. Ho conservato il numero di telefono ma non sono stato particolarmente solerte, a volte richiamo qualcuno dopo anni e scopro che è morto. Ma in questo caso sono poi andato a casa di Nada Stultus e ho scoperto qual era l'intento della famiglia Stultus».

Il desiderio delle figlie del pittore era che l'opera del padre fosse consacrata da una monografia che ne raccogliesse l'opera omnia. Occorreva anche, secondo Sgarbi, un mercante che sostenesse i quadri di Stultus nelle aste e nel mercato dell'arte, cosa successa ad esempio ad Arturo Nathan. E il primo atto di questa riscoperta è la generosa donazione da parte delle tre figlie con cui dieci opere sono adesso entrate a far parte del patrimonio del Revoltella.

All'evento di ieri, che ha pubblicamente sancito la donazione, erano presenti l'assessore alla Cultura del Comune Giorgio Rossi che ha fatto gli onori di casa e si è impegnato a organizzare una mostra per valorizzare i quadri appena acquisiti, la direttrice del Servizio Musei e Biblioteche Laura Carlini Fanfogna e l'architetto Marianna Accerboni. Carlini Fanfogna ha sottolineato come le dieci tele permettano di aggiungere un tassello importante alla collezione del primo Novecento del museo. «Stultus è vicino ai maestri italiani - ha detto Carlini Fanfogna - ma è frutto anche di quella commistione di più culture tipica di Trieste: innamorato della classicità e del Rinascimento e insieme attento alle radici e alle tradizioni locali, soprattutto agli usi delle popolazioni autoctone e del Carso che disegna in chiave poetica. Mentre in Europa trionfava il nazionalismo, lui mescola la tradizione italiana con le influenze rurali slave, per creare un'arte nuova». Marianna Accerboni ha ricordato gli aspetti biografici del pittore: «Con un'infanzia difficile e senza padre - ha detto -, Stultus riuscì ad affermarsi raccogliendo la fiducia di personalità importanti come il principe di Torre e Tasso che gli commissionò l'arredo e la decorazione di parte del castello di Duino e come la famiglia di Italo Svevo per la quale realizzò le scenografie utilizzate durante le celebri feste organizzate nella Villa Veneziani».

L'intervento più atteso era quello di Sgarbi che, elegante nella sua consueta sobrietà, ha preso la parola davanti al grande quadro “La corona di San Giovanni”, il dipinto più celebre di Dyalma Stultus tra quelli presenti nella collezione del Revoltella. «Non credevo - ha sottolineato il critico - che l'amministrazione sarebbe stata così solerte, attraverso l'amico sindaco, l'amico assessore e la direttrice del museo, nel perfezionare questa importante donazione che arricchisce quello che forse è il più grande museo sull'Ottocento italiano». «Anni fa - ha continuato Sgarbi - ho scoperto qui nei depositi del Revoltella Quirino Ruggeri, un sarto trasformato in scultore da Roberto Longhi negli anni Venti, una scoperta di quelle che deliziano i critici e gli studiosi. Mentre mi sono occupato anche di Arturo Nathan, uno dei grandi artisti triestini, che un giorno sarà opportuno consacrare ulteriormente». Sgarbi ha ricordato che da ragazzo il critico d'arte Janus lo coinvolse nell'allestimento di una mostra di Nathan ad Aosta e che lui, ancora giovanissimo, acquistò un vaso di fiori dipinto da Stultus nel 1918, a testimoniare un interesse di vecchia data. «Non ho mai avuto dubbi sulla sua grandezza - ha ribadito il critico -. Ho sempre amato perfino il suo nome che possiede una luce assoluta. Un suo grande amico, altrettanto dimenticato e da riscoprire, è Franco Asco, uno scultore, maestro di Mascherini: sono entrambe personalità isolate ma grandi, orgogliose e potenti». «La tradizione novecentesca degli artisti triestini - ho proseguito Sgarbi - comprende, oltre a Nathan, anche Sbisà e Sambo, e poi la più grande di tutti, la gloriosa Leonor Fini, che ha avuto una fortuna straordinaria nel mondo: io acquistai a Londra il suo ritratto di un principe arabo del 1951, un quadro dalla bellezza leonardesca, una Gioconda al maschile dipinta da una donna. A testimoniare il riconoscimento internazionale della Fini c'è un suo quadro del '38 che è stato battuto di recente per un milione di euro e quando il mercato si muove ovviamente si muovono anche gli storici».

Dopo quella “fatale” passeggiata sull'Arno Vittorio Sgarbi ha fatto il suo dovere e la riscoperta dell'opera di Dyalma Stultus può partire da questa donazione che arricchisce la storia dell'arte di Trieste. —



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