Zoderer: «Quest’Europa sedotta dagli xenofobi come ai tempi di Hitler»

Lo scrittore de “L’italiana” e “I colori della crudeltà” «I muri sono sbagliati. Tutta propaganda elettorale»
Di Alessandro Mezzena Lona
Joseph ZODERER - Date : 20050501 ©Basso Cannarsa/Opale/Leemage
Joseph ZODERER - Date : 20050501 ©Basso Cannarsa/Opale/Leemage

di ALESSANDRO MEZZENA LONA

«Se alza nuovi muri l’Europa si sfascia». Ascoltando i tamburi di guerra che arrivano dall’Austria, dall’Ungheria, e non solo, Joseph Zoderer fa fatica a essere ottimista. Lui, che ha sognato fin da bambino di veder svanire il confine tracciato a spaccare in due il Tirolo. Lui, che ha raccontato in romanzi bellissimi e scomodi come “Die Walsche-L’italiana”, “Lontano, “La felicità di lavarsi le mani”, “I colori della crudeltà”, il dialogo accidentato, difficile, spesso impossibile tra tedeschi e italiani dell’Alto Adige.

Se ascolta meglio quei tuoni gonfiati a parole che vorrebbero alzare nuovi muri, dal Brennero in là, Zoderer si scopre ottimista. Perché è convinto che quando la campagna elettorale per le presidenziali in Austria sarà terminata, i toni si addolciranno. Come per magia. Se poi si ferma a riflettere sulla sparata di Heinz Christian Strache, l’erede di Jörg Haider alla guida della destra xenofoba austriaca, che ha ridato corpo al fantasma della seccessione dell’Alto Adige, Zoderer si limita a un’alzata di spalle: «Propaganda elettorale».

Lui, lo scrittore nato a Merano nel 1935, non parla a caso. Dal momento che ha conosciuto le difficoltà dell’emigrazione fin da piccolissimo. Quando aveva quattro anni, i suoi genitori decisero di “optare” per la cittadinanza tedesca e si trasferirono a Graz. Dando credito all’accordo siglato tra Adolf Hitler e Benito Mussolini, che intendeva ripopolare il Sud Tirolo di italiani doc.

«Non c’è dubbio: spira un forte vento di nazionalismo che sta provando a dividere l’Europa - spiega Joseph Zoderer -. La destra usa l’inganno per sedurre la gente. Per catturare sempre più voti. In verità, tutto quello che sta accadendo io lo vedo come un grande passo indietro. Ci eravamo illusi di aver superato certe divisioni. Soprattutto noi che viviamo nel Sud Tirolo e che le rivendicazioni basate sull’identità, sugli attriti tra minoranza e maggioranza li abbiamo vissuti sulla nostra pelle».

A chi può fare comodo questo ritorno al passato?

«In Alto Adige, sicuramente al piccolo partito capeggiato da Eva Klotz. Saranno felicissimi di sentire che Heinz Christian Strache, il leader del Partito della libertà austriaco, si dice favorevole a una riunificazione del Grande Tirolo. A un’autodeterminazione della gente di lingua tedesca che vive in Italia».

Parole che riportano agli anni ’60 e ’70?

«Sì, ma è assurdo. Il nostro momento storico non ha niente in comune con gli anni ’60 e ’70. Pensiamo soltanto al fatto che, ormai, in mezzo a noi vivono rappresentanti di nazionalità, di etnie diversissime. E poi, cosa vuol dire offrire alla gente del Sud Tirolo la possibilità di autodeterminarsi? Mi sembra pura propaganda elettorale».

Nel suo romanzo “Die Walsche-L’italiana” raccontava le divisioni tra italiani e tedeschi di quegli anni...

«A Bolzano la convivenza tra tedeschi e italiani è sempre stata abbastanza tranquilla. Al contrario delle valli, dove la gente covava una grande diffidenza nei confronti dell’altro. Perché viveva in un contesto sociale molto chiuso. Se quelli che pensi siano diversi da te non li conosci bene, e non puoi confrontarti con loro come avviene nelle grandi città, finisci per trattarli da oggetti estranei. Nemici».

Casa Pound fa proseliti a Bolzano. Com’è possibile?

«Nelle ultime elezioni comunali hanno bissato il successo dell’anno scorso. Assicurandosi l’elezione di tre consiglieri comunali. Ma quella di Casa Pound in Sud Tirolo è una storia interessante».

Racconti...

«Sono neofascisti e non fanno niente per nascondere le loro idee. A Bolzano, molti italiani abitano alla periferia della città e non se la passano troppo bene dal punto di vista economico. Così, Casa Pound lavora su due strade: da una parte non nasconde la sua anima violenta, come avveniva ai tempi di Mussolini. Dall’altra cerca di dare una mano alle vecchiette, alle vedove, a chi fa fatica ad arrivare alla fine del mese. Crea consenso attorno a sé. Si propone come alternativa alla Caritas».

I fascismi del passato non ci hanno vaccinati?

«L’Europa sta correndo in braccio alla destra. In Germania i partiti nazionalisti sono vicini a sorpassare quelli più democratici. La Cdu di Angela Merkel perde consensi, i socialdemocratici sono scesi al venti per cento. E non dimentichiamo che, pochi anni fa, potevano contare su quasi il doppio dei voti. I socialisti di François Hollande in Francia hanno vita durissima: Marine Le Pen, ormai, è molto più di uno spauracchio».

E in italia?

«Abbiamo solo l’imbarazzo della scelta. C’è Matteo Salvini con la Lega Nord, Fratelli d’Italia, Casa Pound. E dall’altra parte del confine, in Austria, Strache agita i loro stessi fantasmi aggrappandosi ai fantasmi del populismo, razzismo, nazionalismo, intolleranza. Tutti alimentano la paura della gente di perdere il benessere che si è conquistata. E non conta ripetere che Bolzano, Vienna, sono in vetta a tutte le classifiche dei posti dove si vive meglio. Perché i migranti spaventano la buona borghesia, e ancor di più la povera gente».

E allora si rialzano i muri?

«Non mi sarei mai aspettato che l’Austria pensasse di bloccare il Brennero. Noi sudtirolesi abbiamo tirato un grande sospiro di sollievo quando il confine è sparito. Perché quello era il segnale che si stava dissolvendo la barriera messa a dividere lo stesso popolo che vive un po’ in Austria e un po’ in Italia. Senza frontiera ci sentivamo veramente in Europa».

Sparivano i nazionalismi...

«Togliendo il confine si rimuovevano anche certe rivendicazioni ormai vecchie, assurde: io sono italiano, io tedesco. Niente più identità blindate. Niente più conflitti etnici. Ci sentivamo un popolo unico. Europeo».

E adesso, come andrà a finire?

«Prima di tutto, devo confessare la mia grande delusione per quello che sta avvenendo. Grande delusione, anche se mi sembra che il ministro dell’Interno austriaco, Wolfgang Sobotka, sta mettendo pian piano da parte i discorsi pieni di parole che tuonavano come colpi di cannone. La stessa cancelliera tedesca Angela Merkel, a Roma, ha tentato di correggere la rotta sulla questione del Brennero. E se non bastasse, Papa Francesco ha puntato il dito contro i nuovi muri. Mettendo in preallarme l’Europa, che rischierebbe di sfasciarsi proprio su queste divisioni».

E la sinistra?

«Ha deluso la gente. In Austria, molti operai, molti lavoratori, ormai stanno dalla parte di Strache. Votano per gli ultranazionalisti. Perché hanno un progetto apparentemente chiaro, forte. Non vorrei che si ripetesse la storia di Adolf Hitler, che riuscì a entusiasmare e ingannare soprattutto il proletariato con il suo nazional-socialismo».

C’è ancora una speranza?

«Secondo me sì. Il 22 maggio, quando terminerà il ballottaggio delle elezioni presidenziali, forse si spegneranno anche questi proclami di guerra. Perché, si sa, in campagna elettorale ormai tutti devono mostrare i muscoli. Anche se non li hanno. Al massimo, poi, credo si intensificheranno i controlli dei migranti».

Storie, queste, che si porta dentro da quand’era bambino?

«Proprio adesso ho finito di scrivere una pièce teatrale. Si intitola “La casa della madre” e andrà in scena al Teatro di Brunico nel febbraio dell’anno prossimo. Racconto la mia esperienza di figlio di “optanti”. Avevo solo quattro anni quando i miei genitori decisero di trasferirsi a Graz. Avevano bisogno di lavorare, come molti dei migranti che arrivano oggi nelle nostre terre. E si erano fatti ammaliare dalla possibilità che offriva il patto tra Hitler e Mussolini di scegliere se restare nel Sud Tirolo, affidato all’Italia, oppure andare in Austria. Sono stati ingannati, come gli italiani che arrivavano a Bolzano sperando di costruirsi una vita migliore. Io che potevo fare? Ero troppo piccolo non solo per protestare, ma anche per capire che cosa stava succedendo attorno a me».

Chi firmerà la regia?

«Uno molto bravo. Si chiama Torsten Schilling, arriva da Dresda, ha già curato la trasposizione teatrale del mio romanzo “Die Walsche-L’italiana”. Ha lavorato a Berlino, Innsbruck, Bolzano».

Da un po’ di tempo lei vive a Brunico...

«Mi stimano come scrittore. E mi hanno messo a disposizione una casa molto bella. Risale al 1914, un tempo ospitava i dirigenti della fabbrica Moessmar. Era vuota da un po’, così da sette anni ci sto io. È molto grande e per me va benissimo. Perché, quando scrivo, ho bisogno di appendere i fogli del mio nuovo romanzo in giro per le stanze. Non uso il computer, lavoro ancora a penna. Lo so, me lo dico da solo: sono un dinosauro».

Sta pensando a un romanzo nuovo?

«Da vent’anni vado con la mia famiglia a Lesbo. Per me quell’isola è come una seconda patria, per i miei ragazzi anche. Mia figlia aveva cinque anni quando eravamo lì per la prima volta. Posso contare su un sacco di amici. E così, un anno e mezzo fa, ho finito di scrivere un romanzo. Stavo lavorando alla seconda stesura quando è arrivata l’onda di profugi dalla Siria. Lesbo è diventata un posto all’attenzione della politica mondiale. Lì c’è andato il Papa».

Una storia perfetta, no?

«E invece no. Perché io avevo scelto di raccontare una storia ambientata vent’anni fa. Sogni legati a un altro tempo. Adesso non posso fare finta che non ci sia questa crisi tremenda. Quindi il romanzo è da buttare».

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