Migranti tornati in Porto Vecchio a Trieste tra coperte e fuochi accesi nei magazzini

Dopo lo sgombero i profughi continuano a cercare rifugio nello scalo

Il sistema dell’accoglienza è rallentato durante il periodo natalizio

Francesco Codagnone
Un migrante si scalda nei magazzini del Porto Vecchio. Foto di Andrea Lasorte
Un migrante si scalda nei magazzini del Porto Vecchio. Foto di Andrea Lasorte

 

Mohamed Kashif si scalda le mani gelate con un fuocherello acceso tra i rifiuti e i vecchi masegni accatastati nel magazzino 1a. In pochi minuti le fiamme si mangiano tutti i legnetti e per la pira non restano che i lembi di una coperta. «It’s cold, it’s cold», balbetta il ragazzo tossendo nel gomito. Il fumo sollevato dalla bora rende l’aria irrespirabile, fa pizzicare la gola, ma almeno copre l’odore dell’urina delle decine di migranti come lui accampati in Porto Vecchio.

I migranti tornati in Porto Vecchio

 

Lì dormono otto ragazzi, più avanti sono barricati in dieci

racconta Mohamed, indicando la fila centrale di edifici. Tocca aguzzare la vista, ma in fondo al viale monumentale si intravedono tanti puntini scavalcare le transenne dei cantieri, entrare e uscire dai vecchi empori. Ragazzi con il giubbotto foderato e lo zainetto sulle spalle, da settimane acquartierati nello scalo e tornati a occupare abusivamente i magazzini abbandonati.

Un mese dopo lo sgombero

 

A poco più di un mese dallo sgombero del 20 novembre scorso tra i corridoi del Porto Vecchio sembrano abitare ancora decine di migranti. Appena venerdì mattina l’Ics ha trasmesso alla Prefettura un elenco di 23 nomi e cognomi di richiedenti asilo lasciati all’addiaccio, da giorni e giorni in attesa di entrare nel circuito di accoglienza.

 

In transito o barricati negli hangar: i due mondi dei migranti nel Porto Vecchio di Trieste
MASSIMO SILVANO

L’equilibrio precario

Lo sgombero dei magazzini e dell’area di largo Santos ha aiuto a gestire l’emergenza, almeno in un primo momento. Il trasferimento di 180 richiedenti asilo in un colpo solo aveva alleggerito il circuito cittadino, ad esempio liberando posti nel dormitorio della Caritas in via Sant’Anastasio. Il primo dicembre è entrato in funzione il centro di bassa soglia dell’Ics in via Bonomo. I trasferimenti dall’ex Ostello scout di Campo Sacro sono proseguiti al ritmo di uno a settimana. Al contempo l’inasprimento delle frontiere interne alla rotta e le tempeste di neve piombate sui Balcani hanno frenato il cammino dei migranti. Il numero di arrivi è calato e i letti in città sembravano bastare.

Tanti fattori che, messi insieme, nell’ultimo mese hanno permesso di mantenere il delicato equilibrio cui si poggia il sistema di accoglienza. Ma è bastata una settimana di clima appena più mite, una corriera in meno, la chiusura degli uffici per le feste per accumulare nuove persone in strada.

Dentro i magazzini

«It’s cold», «fa freddo», ripete Mohamed battendo i denti, perché nel magazzino 1a, il primo della fila di fabbricati affacciati sul mare, il termometro segna tre gradi e il vento batte impietoso. Per affrontare il freddo serve accendere un fuoco e, racconta, non è raro divampino piccoli incendi. Ma almeno quel fabbricato diroccato è più sicuro dell’hangar 3, da cui nel buio sente arrivare urla e schiamazzi. Lì, testimonia, dormirebbero almeno otto migranti. Più avanti, nell’edificio 4, altri dieci.

È meglio stare lontani da lì

consiglia il ragazzo, fermandosi appena prima dell’inizio dei cantieri.

I teli termici dimenticati nella notte si impigliano alle transenne, specchiandosi nell’acqua che continua a riempire gli scavi. In fondo al viale monumentale si scorgono tre ragazzi camminare a passo spedito, costeggiare i moli, sparire oltre una delle tante porte in ferro arrugginito.

Difficile contarli

Entrano di notte ed escono all’alba: contarli è difficile

racconta l’armatore di una delle barche ormeggiate all’altezza dell’Adriaterminal, scortandoci all’interno dei vecchi fabbricati. In alcuni edifici, come nel numero 9, la presenza dei migranti è tradita dall’odore pungete di urina e deiezioni, dalle buste di immondizia stracolme di avanzi di cibo, dalle coperte ancora calde.

Il pianterreno dell’hangar 6 appare vuoto, si direbbe disabitato, e anche la pantigana abbandonata all’ingresso sembra morta da giorni. Ma il magazzino non è silenzioso. Il solaio trema al rumore di porte e finestre che si aprono e chiudono, passi. I migranti si nascondono nei piani superiori.

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