Il commento: “Sull’Esodo errori e un silenzio colpevole”

Si prova anche in questi tempi una certa ritrosia ad esprimere i propri sentimenti sull’esodo degli Istriani tanto più se si appartiene alla generazione nata alla fine della guerra la quale non ne ha vissuto gli avvenimenti ma di essi porta il ricordo ed anche i segni trasmessi loro dai genitori che li dovettero soffrire e subire. Alle generazioni del dopoguerra resta comunque nitida la memoria dei settanta e più anni vissuti, con le proprie famiglie, da esuli ad un passo dalla casa, dalla terra e dai valori che sarebbero stati quelli della propria vita futura se le conseguenze del conflitto non fossero ricadute anche su di loro.
E’ proprio su questi aspetti che merita fare una riflessione per capire quanti errori ed omissioni sono stati compiuti in questo lasso di tempo pur nella consapevolezza che per fortuna, nostra e delle future generazioni, il confine si è trasformato in un continuum che unisce popolazioni che da entrambe le parti hanno superato esperienze tanto traumatiche.
Nel nostro paese tuttavia non si possono non censurare i comportamenti grandemente colpevoli di chi ha taciuto e nascosto con pervicacia e per decenni il dramma degli esuli e delle vittime dei titini o ancor peggio di chi li ha considerati, e ce ne sono tuttora, come “fascisti” che fuggivano dall’Istria per sottrarsi a colpe che non avevano, anziché come italiani che dimostrarono di esserlo e di voler rimanere tali perdendo le radici, i beni e gli affetti, come avvenne per i nostri genitori e nonni: interpreti veri dello spirito della Costituzione repubblicana e dei suoi valori identitari, a differenza di quelli.
Purtroppo il conformismo, il pensiero a senso unico e la debolezza della classe politica che pur creò la rinascita del paese, prevalsero, salvo poche meritorie eccezioni, umiliando così una intera grande comunità di italiani. Bisogna dare atto, nel contempo, che salvo rarissime eccezioni, quelle famiglie esuli seppero insegnare a noi figli la cultura della tolleranza e anche della sopportazione per le ingiustizie che quei silenzi e quelle offese dei negazionisti hanno continuato a causare, ponendo le premesse per una convivenza fatta di rispetto e collaborazione.
Tutto questo è documentato appunto nei ricordi della generazione del dopoguerra. Si saliva talvolta alla foiba di Basovizza, allora luogo di culto prima ancora che monumento nazionale, per osservare un buco oscuro tragicamente simile a tanti altri sparsi per l’Istria, dove oltre alle vittime, anche molti genitori avevano rischiato concretamente di essere gettati durante l’occupazione titina perché vestivano la divisa italiana o semplicemente in quanto italiani.
Il silenzio sull’esodo continuò per decenni fino a quando i rapporti con la vicina Slovenia divennero più intensi. Se è consentita una testimonianza personale, a questo risultato contribuì in modo determinante la politica estera promossa negli anni ottanta proprio dalla Regione Friuli Venezia Giulia e dai Presidenti dell’epoca.
La Comunità di lavoro Alpe Adria che univa le regioni di confine, Slovenia e Croazia a est, dell’ Austria e Baviera a nord, fu fondamentale per aprire i confini, quando da Roma essa veniva ancora guardata con scetticismo. E fu in quella prospettiva che per la prima volta nel 1980 venne proposto, sia pure in via informale al Quirinale, in occasione del programma per la visita del Capo dello Stato, di sostare presso i due monumenti: la Foiba e la Risiera di San Sabba. Non se ne fece nulla e non si capì se ciò fosse dovuto a una eccessiva prudenza dello staff quirinalizio o al fatto che i tempi non erano maturi.
Fu invece il Presidente Cossiga nel 1991 il primo Capo dello Stato italiano a rendere omaggio al luogo: venne così finalmente resa giustizia alla memoria delle vittime ma fu riconosciuto contestualmente il diritto di queste popolazioni a veder riconosciuta una pagina di storia per loro tragica e che tuttora troppi ancora non conoscono nel nostro Paese.
Riproduzione riservata © Il Piccolo