Illy sul piano Draghi per il rilancio dell’Ue: «Percorso fattibile»

Le riflessioni sul rapporto per la competitività europea dell’ex premier

L’imprenditore: «Conta pure l’applicazione dei principi di sussidiarietà»

Marco Ballico
Riccardo Illy
Riccardo Illy

Un piano complesso, ma attuabile. Riccardo Illy commenta il Rapporto sulla competitività europea elaborato da Mario Draghi sottolineandone innanzitutto la fattibilità. «Impensabile oggi proporre all’Europa la rivoluzione della governance, di cui pure Draghi aveva parlato tempo fa – osserva l’imprenditore triestino –. Queste quasi 400 pagine hanno il pregio della concretezza». La prospettiva temporale? «Credo che l’ex premier immagini che il piano possa essere realizzato in cinque anni, o comunque entro la legislatura».

Illy, la prima impressione sul report di Draghi?

«Un esame impietoso della situazione in Europa a confronto con i nostri due principali partner e concorrenti: Stati Uniti e Cina. A seguire ci sono le sollecitazioni sulle cose da fare per modifiche radicali e in tempi brevi».

Condivide i contenuti?

«Difficile non condividere la necessità di un cambiamento urgente. Difficile anche non condividere l’approccio. Draghi scrive che per puntare a qualcosa di più drastico si dovrebbe intervenire sui trattati, ma, visto il quadro elettorale attuale, si tratterebbe di una strada non praticabile. Costituire gli Stati Uniti d’Europa piacerebbe a tanti, compreso me che sono sostenitore di una maggiore integrazione. Ma quello che conta adesso è la fattibilità di quanto previsto nel documento».

Quali gli altri punti di forza della proposta?

«La seconda cosa che mi piace è il fatto che da un lato si ipotizza di conferire più poteri a livello di Unione europea, ma dall’altro pure di fare il contrario. In applicazione dei principi di sussidiarietà, alcuni poteri Ue possono essere gestiti meglio da uno Stato, se non da una Regione».

Il Financial Times e altri osservatori hanno parlato di un nuovo Whatever it takes, 12 anni dopo il discorso “salva euro” dell’ex presidente della Bce. Sintesi corretta?

«Direi di sì. Questo è l’impegno che andrà messo per il rilancio economico e, in particolare, per l’aumento della produttività. L’unico modo, come rimarca Draghi, per tutelare il Pil in un contesto in cui dobbiamo prendere atto che la popolazione diminuisce e che l’Europa non vuole compensare il calo degli attivi con l’immigrazione».

Perché l’immigrazione non è oggi una soluzione?

«Perché è stata mal gestita la politica dell’immigrazione. Manca tra l’altro una politica positiva per l’immigrazione».

La sfida di Draghi ha un costo: 750-800 miliardi all’anno, il doppio del Piano Marshall in relazione al Pil. Dove si trovano queste risorse? Chi paga?

«Si trovano. A livello europeo la cifra, per quanto rilevante dato che siamo quasi al 5% del Pil, è sostenibile. E Draghi spiega perché: si possono attivare partnership tra pubblico e privato, si può usare a piene mani l’indebitamento comune. Applicando proprio i principi di sussidiarietà, ci saranno alcuni investimenti di perimetro europeo, ma altri saranno senz’altro fatti meglio dai privati».

Partiamo dai primi. A cosa pensa?

«Alle grandi reti infrastrutturali, decisamente incomplete. L’Ue ha finanziato singoli membri senza obbligarli a creare una rete comunitaria. Abbiamo “buchi” anche sulle ferrovie e pure sui gasdotti. Penso ai terminal in Portogallo che non sono collegati, tramite la Francia, alla Germania. Germania che, smantellate le centrali nucleari, non riusciva a procurarsi il gas ai tempi della crisi. C’è molto da fare su questo fronte. Ma tanti altri investimenti saranno in capo alle imprese, e le cose funzioneranno. A inizio anno Draghi chiese ai presidenti delle commissioni dell’Europarlamento di “non dire sempre di no”».

C’è il rischio che prevalga la prudenza?

«Sui singoli capitoli lo darei per scontato. Quando Draghi propone di superare in qualche caso il principio del voto unanime, non c’è dubbio che ci saranno resistenze. Ma la politica è fatta di compromessi. L’importante è che siano compromessi alti. In Ue, negli ultimi anni, si è lavorato in questo modo. Altrimenti non saremmo arrivati al Pnrr, al debito comune e all’acquisto comunitario dei vaccini».

Anche la presidente von der Leyen, che aveva commissionato il report un anno fa, parrebbe cauta. Che cosa si aspetta?

«La cautela può derivare dall’esito delle elezioni, con il rafforzamento delle forze estreme, e dalle prime reazioni di alcuni Paesi. La presidente è consapevole che è una fase complicata per fare altro debito, ma sono convinto che inizierà un lavoro di tessitura. La sola via per far tornare l’Europa nel gioco della competizione con Stati Uniti e Cina. L’alternativa è la marginalità».

Ottimista quindi?

«Parola grossa, ma conforta che l’ottimo report di Draghi colga i problemi principali dell’Ue, ma anche le opportunità. Non dimentichiamo i benefici del nostro sistema, a partire dal capitolo salute: con costi inferiori della metà, la qualità delle cure in Italia è indiscutibilmente superiore a quella in Usa».

Nel report si parla poi di più flessibilità sugli aiuti di Stato. Si può fare?

«Direi proprio di sì. È uno degli elementi di rigidità da superare. Tanto più a fronte dell’introduzione da parte degli Stati Uniti di misure chiaramente protezionistiche. Impensabile continuare a fare i puristi».

Il governo italiano coglierà la “provocazione” di Draghi?

«I problemi denunciati da Draghi a livello Ue in Italia sono ancora più gravi. Dal punto di vista demografico siamo all’ultimo posto in Europa, come pure sull’indebitamento. Perfino la Grecia, con la cura da cavallo che le è stata imposta, se la sta cavando egregiamente. Penso che il Governo sarà pronto. Le imprese lo sono già».

Nel primo semestre l’export Fvg si salva solo con la cantieristica, il Veneto è al –3,5%. Come sta il Nordest?

«Momento di sofferenza. Del resto, uno dei partner principali, la Germania, è in stagnazione e alcuni settori chiave come quello automobilistico sono in netta crisi, con conseguenze per la componentistica».

Come se ne esce?

«Il tasso reale è troppo elevato e inibisce gli investimenti. La Bce, alla luce dei dati positivi sull’inflazione, ha provveduto al taglio. Speravo di mezzo punto, ma solo di un quarto. È comunque un passaggio importante».

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