La noia degli altri riguarda tutti noi

Pieraldo Rovatti
La Giovane decadente dopo il ballo, di Ramon Casas (1899): uno dei dipinti associati al concetto di noi
La Giovane decadente dopo il ballo, di Ramon Casas (1899): uno dei dipinti associati al concetto di noi

Non è vero che i discorsi di Natale sono sempre scontati. Per esempio, a Caivano, vicino a Napoli, dove di recente bande giovanili hanno creato disordini, nell’orazione tenuta in chiesa sono risuonate due parole importanti: “noia” e “pessimismo”, considerate segnali di allarme, situazioni da evidenziare e da combattere.

È così, purtroppo, e questo allarme è un campanello che dovrebbe disturbare le orecchie di ciascuno, farci capire cosa stiamo diventando e dove stiamo andando giorno dopo giorno, senza preoccuparci troppo, anzi senza quasi accorgercene.

La parola “pessimismo” la riconosciamo bene, è presente un po’ ovunque, ma non le diamo troppo peso. Al contrario, spesso pensiamo che una dose di pessimismo possa perfino avere una funzione salutare di fronte a un affidamento troppo automatico a quelle che chiamavano “le sorti progressive”, cioè alla speranza oggi assai poco fondata che domani le cose vadano meglio.

Insomma, una dose di sano pessimismo resta una difesa utile nei confronti dell’idea di un futuro che si annunciasse comunque migliore.

Per capirci, se il pessimismo radicale non produce nulla di buono, un pessimismo riempito di attenzione critica, non risulta soltanto auspicabile in ogni ambito del nostro vivere, da quello privato a quello pubblico, ma perfino necessario per evitare qualunque tentazione di completa positività. Se ci facciamo caso, ogni impegno pubblico contiene, nella sua rapidità, il rischio di ideologizzare il nostro atteggiamento, spingendolo verso un troppo di positività o verso un eccesso di negatività, insomma verso una logica costruita soltanto sui “sì” e sui “no”.

La questione della noia possiede un rimbombo molto più drammatico: non riusciamo a giocarci dentro con il nostro pensiero critico, è una dimensione di fronte alla quale ci troviamo quasi sempre spiazzati: ci arriva addosso e facciamo un’enorme fatica a scollarci. Forse è una inquietante questione che tutti, almeno un poco, conosciamo per esperienza personale e magari consideriamo ovvia come una porzione scontata della quotidianità di ciascuno, anzi quella porzione di vissuto che potrebbe fare da argine nei confronti della velocità e della smania che caratterizza sempre più le nostre giornate.

Addirittura ci capita di desiderare la noia come antidoto alla fretta defatigante, tuttavia non possiamo ignorare il rischio che prenda il sopravvento e possa diventare o la chiusura in noi stessi, una sorta di malattia legata all’individualismo, oppure un’apertura completamente vuota verso un agire a propria volta svuotato di ogni senso.

Se non riusciamo a dare contorni e significato alla noia di vivere, essa allora diventa l’occasione per un agire violento e senza scopo ragionevole, proprio come è successo a Caivano e come rischia di accadere in innumerevoli altre situazioni, dove sembra che i soggetti in questione non abbiano più alcun contenuto che li identifichi come tali.

Chi entra in simile dimensione – e di solito si tratta significativamente di giovani che non credono più a nulla di positivo, che hanno annullato la loro soggettività o comunque l’hanno ridotta a gesti di violenza (sessuale, ma non solo) che si caratterizzano come gratuiti – fornisce alla noia un riempimento che, anziché paralizzarli, produce un senso materiale per quanto assurdo al loro esistere.

È lampante che questo problema esiste e viene tradotto in pratiche contro la cosiddetta normalità della situazione attuale: pratiche suggerite e imposte appunto dalla noia, che qui passa da un cruccio privato e personale a un agire di gruppo contro tutti coloro che si accontentano di una semplice pacificazione.

Sto cercando di sottolineare come la noia possa diventare un potenziale comune senza senso, cioè senza traduzione in uno scontato e normale agire sociale. Per comprendere simile sommovimento di energie non basta rinchiuderlo nella parola “violenza”: certo si manifesta in comportamenti violenti che vanno puniti, ma se volessimo davvero capire che cosa li muove e come questo “qualcosa” riguardi tutti noi, nel momento stesso in cui vediamo alla sua base quella noia che conosciamo bene, allora dobbiamo far fare un passo in più al nostro atteggiamento critico e autocritico.

Credo opportuno che tutti noi ragioniamo senza troppa fretta su questi effetti della noia che oggi affligge la nostra collettività: forse c’è qualcosa che ci rifiutiamo di capire e su cui invece dovremmo fermarci a valutare. Magari, anche, riflettendo sul fatto che in quel “branco” che ci fa orrore, la noia tenta atrocemente di socializzarsi in un agire non individuale, assurdo e irrazionale, ma comunque di gruppo.

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