Lucio Corsi e quel legame con la bora di Trieste: nel 2020 scrisse un pezzo sulla città

Il cantautore toscano, vera rivelazione del Festival di Sanremo e secondo classificato, cinque anni fa dedicò un testo al capoluogo giuliano

Un frame del videoclip "Trieste" di Lucio Corsi
Un frame del videoclip "Trieste" di Lucio Corsi

Scoprimmo che il vento cantava il giorno che passò in tv / lasciando di stucco un camionista che si riposava per qualche ora in un bar”. Comincia così la canzone “Trieste” scritta da Lucio Corsi, vera scoperta del Sanremo 2025 e secondo classificato al Festival.

Trieste è il quarto brano dell’album che il cantautore di Grosseto, intitolato “Cosa faremo da grandi?”, ha pubblicato nel 2020. Si tratta di un disco arrangiato da Francesco Bianconi dei Baustelle e prodotto dalla Sugar Music di Caterina Caselli.

È chiaramente la bora a ispirare il giovane musicista toscano se nel ritornello dello stesso pezzo il testo continua così: “Da quel giorno per le strade di Trieste vive gente convinta che il vento no, non era un freno ma una spinta”.

Le immagini che immortalano la città sferzata dalla bora e piegata dalle raffiche alimentano sempre la fantasia di chi scrive. In questo caso, però, si tratta di qualcosa di più poetico e profondo.

Corsi, secondo classificato a Sanremo, ha conquistato il pubblico per il suo talento ma anche per il suo look: trucco sugli occhi, unghie dipinte, vestiti tra il glam e il freak con gli anni Settanta come riferimento.

Le sue canzoni sono racconti, ciascuna con una storia piena di dettagli, poesia e accostamenti bizzarri che ricordano il linguaggio dei bambini. “Le bocche spalancate delle montagne”, “Cantano in mutande i cori di cicale” e “Un vaso che s'è buttato dal terrazzo” sono solo alcuni esempi della sua colorata scrittura. Ha una voce rigorosa Corsi, un tono che ricorda la scuola di De André ma soprattutto di Ivan Graziani, un modo di interpretare d'altri tempi che contrasta con la sua faccia da folletto.

L’album “Cosa faremo da grandi”

Oltre a “Trieste”, in cui il vento serve a “tenere le nuvole in viaggio” e “spinge sia le barche che gli uomini”, il vento ritorna protagonista anche in un altro pezzo del disco, “Amico vola via” che inizia così: “C'era un mio amico che era troppo secco, col vento volava”. E aggiunge: “Sua madre gli metteva i sassi nelle tasche quando usciva di casa”, un'immagine da fiaba che ricorda certi antichi e casalinghi metodi anti-bora che sfociano nel mito e nella leggenda metropolitana. 

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