Pallacanestro Trieste senza identità
Anche con la Virtus la squadra si è persa nei momenti decisivi. Nel mirino dei tifosi coach e giocatori ma la società è tranquilla

Il 2025 della Pallacanestro Trieste cala il sipario nel modo più deprimente possibile, lasciando in dote un girone d’andata che, numeri alla mano, evidenzia le difficoltà palesate dalla squadra negli ultimi cinque mesi. La sconfitta contro la Virtus Bologna non è che l’ultimo tassello di un mosaico sbiadito, l’epilogo di un dicembre orribile che ha visto la squadra smarrirsi tra i dubbi di Sassari, le paure di Varese e il naufragio europeo contro Wurzburg.
Ciò che fa male è la sensazione di aver sprecato un’occasione colossale contro una Virtus lontana anni luce dalla sua versione migliore, ma capace di portarsi a casa i due punti semplicemente usando la testa mentre Trieste, dopo aver riacciuffato il pari sul 62-62, si è sciolta come neve al sole.
Il problema non è più una questione di episodi, ma un leitmotiv stucchevole: partenze ad handicap, assenza totale di schemi e un’identità tecnica che sembra un miraggio nel deserto. Fa rabbia vedere un gruppo con questo potenziale vagare per il campo senza una guida chiara, dando l'impressione che i giocatori abbiano smesso di credere nel lavoro dell'allenatore.
Eppure, davanti a questo scollamento evidente, i giocatori non possono e non devono considerarsi esenti da colpe. Se è vero che la guida tecnica sembra aver perso il polso della situazione, è altrettanto vero che in campo ci vanno gli atleti. Il talento che sulla carta dovrebbe fare la differenza non può diventare un alibi dietro cui nascondersi: la mancanza di attributi, la passività nei momenti chiave e quell'atteggiamento talvolta quasi rassegnato sono responsabilità dirette di chi indossa la canotta.
Non basta il pedigree se manca la bava alla bocca e Trieste oggi sembra una squadra che ha dimenticato cosa significhi combattere su ogni pallone. In questo scenario, la posizione della dirigenza appare fin troppo cauta.
Sentire Gonzalez, Arcieri e Matiasic parlare di miglioramenti imminenti e ostentare una tranquillità granitica rischia di apparire come un esercizio di ottimismo slegato dalla realtà del campo. È comprensibile la volontà di tutelare il gruppo, ma i tifosi faticano oggi a rintracciare le basi di tale fiducia.
L’impegno economico della proprietà e la serietà di chi investe capitali per mantenere il basket a Trieste a questi livelli non sono in discussione, ma è proprio la tutela di questi sforzi a suggerire una riflessione più profonda. Una stagione non si raddrizza solo con la diplomazia: serve il coraggio di ammettere che qualcosa nell'ingranaggio si è inceppato.
La realtà è spietata: tra pochi giorni, il 4 gennaio a Trento, ci si gioca una chance importante per le Final Eight di Coppa Italia, per poi tuffarsi in una settimana folle tra il play-in di Champions e la chiusura con Cantù. È il momento in cui la società deve dimostrare di saper leggere la crisi oltre la "bolla" dei comunicati ufficiali. Continuare a ribadire che il percorso sia quello corretto, a fronte di risultati opposti, rischia di trasformarsi in una pericolosa mancanza di autocritica. Trieste ha bisogno di una scossa e di un confronto onesto con la realtà, prima che il "progetto" diventi soltanto il rimpianto di ciò che poteva essere e non è stato.
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