L’amarezza di Cristian Bucchi: «Triestina, spero ci sia una luce»

L’ex tecnico: «A Trieste ho vissuto un calcio vero. La squadra si costruisce fuori dal campo, e lì c’è ancora chi lotta per il futuro del club»

Guido Roberti
Cristian Bucchi
Cristian Bucchi

Non fosse stato per la morte del compianto Biasin, nell’estate del ’22 la Triestina avrebbe avuto ottime basi per costruire una stagione di vertice in quella seguente.

L’ossatura della squadra era di livello (quella che stava per eliminare dai playoff il Palermo promosso in B), la solidità finanziaria garantita dall’impegno del patron, e l’allenatore – Cristian Bucchi – aveva mostrato un buon calcio nonostante la stagione funestata da infortuni. Cambiò tutto con la scomparsa di Biasin.

Ora l’ex attaccante guida l’Arezzo, girone B di C. Se mai vi sarà la Triestina, non incrocerà l’Unione da ex, ma la preoccupazione per quanto sta accadendo tocca nel profondo il tecnico romano.

«Un grande dispiacere vedere questa situazione. Parlo da amante del calcio. È veramente triste che una società così gloriosa arrivi a questo punto, senza capire quale potrà essere il futuro, se farà parte del campionato e in che condizioni».

Le scellerate scelte societarie e l’assenza di comunicazioni dalla proprietà contribuiscono alla confusione. «L’approssimazione in cui si trova la Triestina non è degna della storia di questo club».

Bucchi è rimasto profondamente legato alla città, non solo alla sua icona calcistica. «Ne parlo sempre con piacere perché ho vissuto intensamente Trieste, seppur in un momento particolare perché eravamo appena venuti fuori dal Covid. Ma sono riuscito ad apprezzare i triestini, il loro amore per la squadra condito da un grande senso di appartenenza ed un grande orgoglio nel vivere la triestinità».

Tutti concetti astrusi a questa proprietà. «Mi sono sentito parte in maniera totale della storia del club – racconta il tecnico aretino –, ed il mio dispiacere è immenso nel vedere la situazione attuale. Spero sempre ci possa essere una luce in fondo a questo tunnel».

La parte sportiva quasi non se ne parla, ma semmai si iniziasse, da almeno –13, a mercato bloccato, senza ritiro estivo eccetera, quanto sarebbe difficile? «Proprio perché sarebbe un’impresa difficilissima non si potrebbero sbagliare gli uomini. Servirebbero figure capaci di vedere oltre agli ostacoli, che avessero a cuore la Triestina come fosse una cosa loro». Un po’ quello che ha fatto Tesser. Un uomo di grandi valori, profondamente attaccato e rispettoso della storia dell’Unione. «Per costruire un’impresa serve saper guardare alla costruzione di un futuro, una nuova rinascita della Triestina. Qualcosa di diverso dall’attualità».

Molte figure, dall’addetto stampa ai magazzinieri, medici, impiegati, sono ancora lì e lavoravano con Bucchi quattro anni fa.

«Ho avuto il piacere e l’onore di lavorare con tanti di loro. Come dico sempre la squadra forte la si costruisce fuori, e a Trieste questa base c’è. So per certo che queste figure di cui parliamo e alle quali sono legato affettivamente ci tengono alla storia del club, persone che vivono di calcio, ma pur non prendendo lo stipendio da mesi sono lì a battagliare ogni giorno, e per come li ho conosciuti, sarebbero disposti anche a rinunciare a qualcosa di loro pur di vedere un futuro della Triestina».

Un messaggio ai tifosi sfibrati? «Per tutta la Trieste che ama la Triestina, auguro ci sia un futuro, benché complicato nel breve termine, ma che ci possa essere, e che queste persone continuino ad essere la vera anima del club». 

Riproduzione riservata © Il Piccolo