Addio a Lomu, gigante buono del rugby

ROMA. Il gigante buono del rugby è stato abbattuto dalla malattia. L'unico avversario che Jonah Lomu, leggenda degli All Black, simbolo mondiale del rugby e fisico da carrarmato, non è riuscito a placcare. Aveva appena 40 anni ed era considerato il più grande rugbista di sempre. Il re della palla ovale è morto nella sua casa di Auckland, in Nuova Zelanda, in seguito a una malattia ai reni che lo perseguitava da molti anni e che nel 2002 l'aveva spinto sulla via del ritiro. Nel 2004 Lomu subì un trapianto, sembrava che le cose andassero per il meglio, ma poi la ricaduta e nel 2007 l'addio definitivo al professionismo, anche se per qualche tempo ha giocato in squadre dilettantistiche. Il premier neozelandese John Key si è detto «profondamente addolorato» per la scomparsa di Lomu, «un atleta ispiratore, da tutti considerato come la prima vera superstar mondiale del rugby».
«Jonah era una leggenda del nostro gioco, amato dai suoi tanti fan sia qui che in tutto il mondo. Non abbiamo parole» ha detto il capo della federazione rugby neozelandese Steve Tew. Il capitano degli azzurri Sergio Parisse ha twittato commosso: «riposa in pace campione, una leggenda per ogni singolo giocatore di rugby». Oggi non solo la Nuova Zelanda dunque piange il suo campione (originario di Tonga) ma tutto il mondo del rugby resta attonito davanti alla morte prematura di un uomo che era anche un grande personaggio, il Pelè della palla ovale, il giocatore-mito della haka, che ha trascinato gli All Black e fatto sognare generazioni di tifosi e appassionati di questo sport, e non solamente nelle latitudini oceaniche.
Lomu ha letteralmente impersonato il rugby, uno sport che ha conquistato con la bravura, la prestanza fisica, il modo di stare in campo, la simpatia personale. Tutte qualità che ne avevano fatto un simbolo, molto ricercato anche al di fuori dei campi di gioco, tanto che, dopo il ritiro, per Lomu si sono spalancate le porte della pubblicità. Il gigante nero, 196 cm di altezza per quasi 120 kg di peso, capace di correre i 100 metri in 10«8, passando sugli avversari a mò di elefante, è stato un campione inarrivabile. Ha mischiato agilità e potenza fisica, intelligenza di gioco e coraggio, si buttava sempre in avanti, quasi a voler abbattere il muro della difesa avversaria, peraltro spesso riuscendovi. Ha messo la sua firma su 37 mete in 63 partite della sua nazionale in sole otto stagioni. Segnò per la prima volta a 19 anni, il più giovane esordiente negli All Black, in una partita contro la Francia nel 1994.
Anche gli azzurri hanno conosciuto la potenza di gioco dell'ala neozelandese che travolgeva di potenza le difese rivali. Lomu ha segnato proprio all'Italia ben 5 mete in tre partite. Nella semifinale mondiale del 1995 ne segnò addirittura 4 contro l'Inghilterra. In quell'edizione segnò 7 volte, e in quella successiva ne fece 8. Quindici mete in due edizioni, un record, eguagliato solo dal sudafricano Habana. Un addio pieno di tristezza per Lomu, campione allegro, che amava la vita e pur fra i dolori provocati dal suo male, e dalla sua difficile condizione di dializzato, era sempre aperto al sorriso e alla speranza, altruista e generoso. Si preoccupava del futuro dei suoi bambini di 5 e 6 anni, forse presagendo una fine vicina.
Riproduzione riservata © Il Piccolo