Bobicchio: un’estate di basket per ricordare il mio Manuel

Sempre più affollato il camp playground che l’ex giocatore triestino trasferitosi a Riva del Garda organizza in memoria del figlio. «Ricreo lo spirito dei campetti»

TRIESTE

Qualche bambino, incuriosito dal vistoso striscione “Manuel Playground”, si avvicina, dopo un’ora passata sul campo di basket. «Ma sei tu Manuel?». Walter Bobicchio affonda in un sorriso e in una carezza la dolorosa nostalgia. «No, non sono io. Manuel era un ragazzo un po’ più grande di voi. E amava il basket come voi».

Da sette anni il “Manuel Playground”, organizzato da Walter Bobicchio in memoria del figlio ucciso da un maledetto virus a neanche 17 anni, è diventato un’istituzione, a Riva del Garda. “Bobo”, 53 anni, triestinissimo, affacciatosi alla ribalta del basket di livello con la Pallacanestro Trieste, si è trasferito sul lago da oltre un ventennio. Prima apprezzato giocatore, poi al comando della polizia municipale. Ogni anno rinnova l’appuntamento con quello che non è un semplice camp ma un’esperienza di vita e di sport che dura l’intera estate e coinvolge oltre un centinaio di giovani cestisti. «Manuel mi manca dal 2007 ma ci ho messo quattro anni per elaborare il lutto e capire come ricordarlo. Poi, una notte, l’illuminazione. Il nome, il progetto, gli undici comandamenti che governano la manifestazione». E il campo. «Era il campo dove andavo ad allenarmi con Manuel quando era bambino. Poi quello spazio era stato distrutto. Con il tempo è stato ristrutturato e adesso i campetti sono diventati due».

Campetti che ricordano altri, quando il bambino che cercava di domare un pallone a spicchi era Walter. «A Trieste ho cominciato a giocare anch’io come tutti. Al ricreatorio. Il mio era il Gentilli di Servola. Che divertimento. E che rivalità con gli altri ricreatori. Eravamo meglio del Padovan, ma non ditelo al mio amico Franco Stibiel...». Amico. A Trieste ne sono rimasti tanti, legati al basket. Sul sito del “Manuel Playground”, tra le tante foto, ce n’è proprio una di Stibiel dimostratore. Quest’estate Bobicchio ha aperto la sua manifestazione anche a uno spettacolo teatrale in dialetto triestino, “Ciuff emozioni a canestro”, della compagnia Bandablanda, scritto da Gianfranco Pacco con cui “Bobo” giocava da ragazzo. Ad accompagnare gli attori, Robi Ritossa. L’occasione per parlare in dialetto di basket triestino.

Cinque anni di A1 e A2 con Trieste per Bobicchio. Debutto con la Bic di D’Amico, Robinson e Bertolotti. L’ultima partita nella sera più amara della storia del basket triestino. La sconfitta nello spareggio con Gorizia a Bologna che significava retrocessione in serie B. «Mi sarebbe piaciuto che la storia fosse andata diversamente. Bastava un niente...Sarebbero cambiate anche le scelte successive. Fu un anno disgraziato. Era arrivato Tanjevic, all’inizio scoccò l’amore, poi cambiò qualcosa. Rivedendo quel campionato con la consapevolezza e la maturità che ho ora, convengo che avrei dovuto comportarmi diversamente. Boscia mi voleva più cattivo, io scontavo la fatica di far convivere allenamenti tirati con la naja. Spesso ero stanco, scarico. “Riposa in caserma”, mi dicevano. Ma io volevo essere perfetto in ogni aspetto. È andata così. Ho fatto comunque una buona carriera e il basket triestino ripartito dalla B ha costruito il miracolo Stefanel. Se seguo il basket di vertice adesso? Ho gioito per la promozione dell’Alma, a distanza. Il mio basket da sette anni è per i bambini». Sullo sfondo, uno striscione con la scritta, il profilo di un giocatore con la maglia numero 9, quello di Manuel. E una stella. —





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