Cent’anni fa nacque Colaussi mito alabardato e azzurro

TRIESTE. Ginut aveva visto la luce a Gradisca il 4 marzo del 1914, 100 anni fa. Era nato come Luigi Colausig quando ancora l'Italia era alleata dell'impero asburgico. Poi ci sarebbe stata la guerra, le trincee costruite sulle alture di Gradisca fino ad arrivare a Trieste. Appunto, come si dipanò la carriera sportiva di Ginut, diventato nel frattempo Gino Colaussi (andava di moda nel Ventennio mussoliniano togliere le consonanti in fondo ai cognomi per far sembrare tutti italianissimi).
GLI INIZI Colaussi seguì le orme del fratello Giordano di tre anni più anziano: buon attaccante di serie B. Ginut venne preso dalla Triestina dopo le eccellenti prestazioni nella squadra di casa sua. Esordì in serie A quando aveva meno di 17 anni, era l'autunno del 1930 e subito si capiva che era un diavolo. Svelto, furbo, aggressivo, bravissimo a scendere sul fondo per poi crossare in mezzo all'area palloni pericolosi. Non segnava molti gol ma creava sempre scompiglio e riusciva a saltare in dribbling i terzini quasi fossero birilli.
L’AZZURRO La Nazionale di Pozzo non poteva fare a mano di uno così dopo il tramonto dell'oriundo argentino Mumo Orsi, stella prima in Sud America e poi in azzurro, goleador della Juventus a ottomila lire al mese (quando ne bastavano mille per essere benestanti e felici). Colaussi debuttò in Nazionale a 21 anni, correva l'anno 1935 e gli oriundi se la filavano alla chetichella per paura di venir chiamati alle armi e mandati in Africa Orientale. Ginut si trovò a giostrare con Piola e Meazza, con quest'ultimo trovò subito l'intesa giusta in campo e fuori. Estroversi e fuoriclasse con il pallone, uno sapeva inventare passaggi deliziosi che l'altro sfruttava al meglio. Infatti con la maglia azzurra Colaussi realizzò 15 reti in 25 presenze (quattro gol nel Mondiale vittorioso del 1938, una doppietta in finale contro l'Ungheria). Ma l'intesa era forte anche fuori dal campo, nelle serate non proprio monacali nel corso dei ritiri e delle trasferte in giro per il mondo: coppe di Champagne e visite alle varie Maisons di madame Tellier non mancavano ai due compagnoni. Con Piola l'intesa non era proprio granché perché il piemontese badava al suo fisico e a realizzare più gol possibile, egoista come i grandi attaccanti sanno essere senza concedere nulla alla generosità.
IL DECLINO Il premio del duce per il Mondiale vittorioso fu abbastanza alto da indurre Ginut a comprarsi il bar Tommaseo. Affare che si rivelò fallimentare sia per la scarsamente oculata gestione e sia perché sopraggiunse la guerra. Ma intanto Colaussi si trasferì alla Juventus, orfana di Orsi. La Fiat lo pagò bene e lo omaggiò di un ingaggio mensile pari a 10 mila lire. Dal 1942 al 1945 si pensò più a sparare che a giocare al pallone, Colaussi si arrugginì tanto che giocò ancora in alabardato ma senza grandi risultati. Non era un uomo-gol, era un fuoriclasse che badava più a creare azioni pericolose che a realizzarle.
Cominciò la carriera di allenatore ma senza grande successo. Intanto i denari erano andati in fumo e non riusciva a sfangarsela bene. Qualche ingaggio come osservatore, come vice allenatore e poi le tasche vuote. Solo la legge Bacchelli lo salvò dalla miseria. In nome del grande romanziere che viveva in miseria (nonostante il successo de “Il mulino del Po”) lo stato italiano aveva istituito un vitalizio da dare agli illustri cittadini che non campavano decentemente. Si trattava di un paio di milioni al mese, niente male per persone normali. A Colaussi sembravano pochi. Ma lui aveva maneggiato cifre ben più interessanti, solo che non aveva saputo farle fruttare come l'amico e compagno di azzurro e alabardato Piero Pasinati.
A 77 anni Ginut, gran fumatore, lasciò il nostro mondo col ricordo di un personaggio che ebbe fortuna con il pallone ai piedi. Un altro come lui non vestì mai la maglia alabardata. In azzurro invece trovò eredi di gran classe che lo fecero dimenticare.
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