Condò: stratega a modo suo, inviso ai “sacchiani”

TRIESTE. C’era un’arma infallibile per riuscire a scardinare la riservatezza di Cesare Maldini e conquistarsi la sua simpatia. Il dialetto triestino. Anche se la sua casa era da tempo Milano, “Cesarone” era particolarmente legato a chi, tra giocatori, tecnici o giornalisti, aveva rapporti con Trieste.
«Gli piaceva sentir parlare in dialetto. Quando capitava, si confidava volentieri. Nel 2002 ai Mondiali, io inviato in SudCorea e lui alla guida del Paraguay in Giappone, con un complesso ponte telefonico riuscì a strappargli un’intervista esclusiva che ricordo con piacere».
Il ricordo è di Paolo Condò, il giornalista triestino storica firma della Gazzetta dello Sport e ora a Sky Sport. «Rammento il rientro a Milano dopo uno stage della Nazionale a Coverciano. Maldini era il ct, gli chiesi un passaggio in automobile. Aveva una Porsche e mi fece un certo effetto vedere il commissario tecnico dell’Italia pigiare sull’acceleratore a 180 all’ora in autostrada, con la massima disinvoltura, chiacchierando del più o del meno».
LE STRATEGIE «Usava certe astuzie nel preparare psicologicamente le partite. Ad esempio parlava sempre bene degli avversari. Rileggetevi le sue interviste alla vigilia degli incontri. Mai una critica, mai una stoccata. C’era un motivo: non voleva dare un pretesto per caricare le altre squadre. In compenso collezionava con attenzione i ritagli di giornale con le frasi degli avversari poco carine nei confronti degli azzurri. E prima delle partite sfogliava insieme alla squadra quelle pagine per scatenare la reazione dei giocatori».
MODE E SACCHISMO «Ai Mondiali del 1998 gli osservatori non furono teneri con Maldini. Il suo gioco veniva considerato ormai superato. Chi era di stretta osservanza sacchiana lo riteneva una sorta di troglodita del calcio. Maldini reagiva con una sua teoria. “Vedi, il calcio è come un pendolo, raggiunge il massimo dell’ampiezza e poi torna indietro. Ci sono le mode, ma quelle passano”. E restava convinto che la difesa migliore fosse quella a uomo».
IL MILAN «Maldini è sempre rimasto legato al Milan. Giustamente è stato celebrato come giocatore e allenatore ma dovrebbe venir ricordato anche come uno dei segreti del ciclo vincente del Milan. Era a capo degli osservatori e insieme ad Ariedo Braida ha svolto un lavoro fondamentale. Aveva una grande capacità nel leggere le caratteristiche dei giocatori. L’ha sempre avuta, del resto. Da calciatore era un allenatore in campo. Da allenatore la prima preoccupazione era capire i punti di forza degli avversari e come disinnescarli».
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