Doping, genitori chiedevano a un medico sostanze per i figli
BOLOGNA
I genitori si davano da fare per reperire farmaci dopanti per i figli minorenni o poco più che minorenni: è uno degli spaccati che emerge dall’operazione “Anabolandia” dei carabinieri del Nas di Bologna, coordinata dalla Procura di Rimini, che ha portato quattro persone agli arresti domiciliari (un medico e tre tra dirigenti e informatori scientifici dell’industria farmaceutica Sandoz), una all’obbligo di dimora, al sequestro di un ambulatorio e altre 54 persone nel registro degli indagati, molte delle quali sono atleti di calcio, basket, atletica leggera, ciclismo, triathlon, pattinaggio e tennis. Le perquisizioni hanno riguardato 17 province tra Emilia-Romagna, Lombardia, Veneto, Liguria, Toscana, Marche, Lazio, Umbria, Puglia, ed hanno portato al sequestro di 500 confezioni di farmaci dopanti e di decine di dispositivi medici, tra cui siringhe e speciali strumenti utilizzati per la somministrazione degli anabolizzanti.
Il ruolo dei genitori nel reperire sostanze dopanti per i figli atleti emerge in almeno tre casi. Ad esempio c’è il caso di un genitore che si dava da fare per portare dal medico riminese Vittorio Emanuele Bianchi - arrestato all’aeroporto di Bologna al rientro dagli Usa e attorno a cui ruota tutta l’operazione antidoping - i suoi figli tennisti, entrambi minorenni. Secondo l’accusa il medico (che lià nel 2005 fu squalificato per sei anni) prescriveva con la complicità e «su sollecitazione» del padre dei tennisti, ad uno un anabolizzante e Gonasi, che stimola la produzione di testosterone, all’altro anche un ormone della crescita. Stesso copione nel caso di un ciclista under 23 accompagnato dal padre dal medico. E ancora c’è la vicenda di un padre che portò dal medico una figlia ciclista professionista e un figlio ciclista amatoriale.
Riproduzione riservata © Il Piccolo








