Francesca Clapcich: «La Volvo Ocean Race, una lezione di vita»

TRIESTE. Francesca Clapcich è tornata a casa. Due settimane appena dopo nove mesi di lontananza, una breve pausa dalla Volvo Ocean Race - la regata che fa il giro del mondo in equipaggio - che sta disputando (unica donna italiana) a bordo di Turn the Tide on Plastic. Intanto, la flotta è impegnata nella nona tappa, quella del ritorno in Europa, la Newport-Cardiff.
Francesca, otto tappe alle spalle: quale le è rimasta particolarmente dentro?
Tutte! Ogni tappa ha le sue peculiarità, ogni tappa si è dimostrata molto interessante. Certo, le più estreme sono state le due nei Southern Oceans, la Città del Capo-Melbourne e la Auckland-Itajai, ma anche la Lisbona-Città del Capo è stata davvero molto bella, con il primo attraversamente dell’Equatore. A proposito di Equatore: l’esperienza con i doldrums (la zona delle calme equatoriali, ndr) più incredibile l’abbiamo vissuta nella Melbourne-Hong Kong, quando siamo rimasti praticamente fermi per quattro giorni.
L’altro passaggio mitico è stato Capo Horn, nella tappa Auckland-Itajai.
Che dire: Capo Horn è quello che è l’Everest per un alpinista! E poi è la porta d’uscita dagli oceani più pericolosi e freddi, lo passi e senti che stai davvero tornando verso casa.
In quella tappa, prima di Capo Horn, la Volvo Ocean Race ha vissuto il dramma della morte di John Fischer, dell’equipaggio di Skallywag, scomparso in mare dopo essere stato travolto dalle onde.
Una tragedia per tutti noi: siamo stati avvisati subito dalla radio e per me è stato un colpo, perché John era un amico, avevamo fatto insieme i corsi sulla sicurezza prima della partenza per cui l’avevo conosciuto bene. E poi, in quei momenti, pensi soprattutto a chi è rimasto a casa, a quanto si preoccupa per te.
Le immagini che giungono a terra riflettono l’immagine di un equipaggio, il vostro di Turn the Tide on Plastic, molto unito e anche molto simpatico.
Ed è la verità, siamo un gruppo molto affiatato. Come è noto, il nostro team è stato assemblato praticamente all’ultimo momento e tra molte critiche: troppo giovani per essere performanti, ci dicevano, mentre Mapfre lavora sul progetto Ocean Race da anni e anni oppure Dongfeng si allenava già da un anno, per fare solo un paio di esempi. Eppure tappa dopo tappa noi siamo cresciuti moltissimo e abbiamo dimostrato di valere e di meritare almeno una vittoria di tappa prima della conclusione di questa edizione della Volvo Ocean Race. Dee Caffari, la nostra skipper, ha creato un gruppo eterogeneo, con atleti provenienti praticamente da tutte le specialità della vela: insieme siamo riusciti a svolgere un ottimo lavoro.
E in almeno un paio di tappe siete andati davvero vicinissimi alla vittoria. Cosa vi è mancato?
Forse abbiamo semplicemente avuto ...sfiga! Credo che paghiamo ancora troppo le situazioni in-port, le partenze e gli arrivi. Avete visto anche nelle ultime tappe arrivi con l’intera flotta concentrata in poco più di un’ora e con le primissime posizioni nel fazzoletto di un paio di minuti: chiaro che gestire al meglio gli arrivi è decisivo.
Le prossime tappe, quando tornerai a bordo, saranno la Cardiff-Goteborg e la Goteborg-L’Aia, entrambe molto brevi...
...e quindi in entrambe sarà ancora più decisivo partire e arrivare bene.
Sei tornata a casa dopo nove mesi: quali emozioni hai provato?
È stato un piacere grandissimo rivedere tutta la famiglia, ho passato lontano, in barca, Natale e tutte le feste, compreso il mio compleanno. Però dico la verità: sono sempre attaccata al “tracking” per seguire il mio equipaggio.
Tu venivi da una barca olimpica sulla quale l’equipaggio era composto da due persone. Ora veleggi in mezzo all’Oceano in un equipaggio che è composto da dieci persone...
Mi piace, mi piace molto lavorare in equipaggio, stare con gli altri ragazzi è bellissimo così come è stato bellissimo avere la fiducia di Dee e di tutti i miei compagni. Adesso però era venuto il momento di staccare un attimo, di vedere la regata da fuori per una tappa per tornare al top alle ultime due. E poi, anche navigare nell’Oceano è fantastico, i tramonti e le albe che vedi sono uniche, gli animali che incontri... Nella Auckland-Itajai a un certo punto la cosa costruita dall’uomo più vicina a noi erano i satelliti sopra la nostra testa, per dire quanto eravamo lontani da tutto e da tutti. È un’esperienza incredibile. Una grande lezione di vita.
GuidoBarella. ©RIPRODUZIONE RISERVATA
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