Furlanic il maestro: «Segreti? Allenamenti personalizzati»

Il tecnico dei mezzofondisti che ha portato quattro ragazzi tra i professionisti «Ho fatto tesoro della mia esperienza d’atleta. Temo che la stagione salterà»

TRIESTE

Un uomo a cui non piace apparire, preferendo lasciare il palcoscenico ai propri ragazzi. Da questo poche parole si può già intuire lo spessore umano di Roberto Furlanic,uno dei tecnici di mezzofondo più apprezzati e stimati in Italia. Non si è scritto atleti ma appunto “ragazzi”, perché al di là della metodologia di allenamento che ha consentito al direttore tecnico della Trieste Atletica di crescere corridori capaci di battagliare con successo in campo nazionale e internazionale, l'ingrediente fondamentale, messo sul campo da chi vive in prima persona l'atletica da ben quarant'anni, è la sinergia e comunione d'intenti condivisa con i propri giovani talenti. Quattro allievi diventati professionisti, una decina di componenti della sua squadra in grado di indossare l'agognata maglia azzurrai: sono solo alcuni numeri del palmares di Furlanic. Attraverso le sue parole, capiremo come continui la preparazione dei suoi atleti in questo periodo, addentrandoci poi nel suo percorso da tecnico.

Qual è stata la maggiore soddisfazione vissuta da tecnico?

«Sicuramente il vedere dei ragazzi, passatemi il termine “scarsi” o a cui a prima vista era difficile prevedere un futuro roseo, diventare, grazie alla tenacia e alla fame di migliorarsi, degli atleti almeno di buon livello».

Come ci si allena ai tempi del corona virus?

«Fin dall'inizio della reclusione forzata ai miei mezzofondisti ho fornito delle tabelle di allenamento volte al mantenimento di un certo status fisico. Per agevolare ciò, come società (sfruttando l'alto numero di soci e l'ampia rete di contatti), siamo riusciti a consegnare loro e a tutti gli altri elementi del team assoluto cyclette, tapis roulant e altri attrezzi come pesi, palle mediche».

Come si immagina la fase due, sportivamente parlando?

«La prossima settimana si può cominciare, penso che da giugno si potrebbero tornare ad allenicchiare gli appartenenti al settore agonistico, lasciando per il momento da parte le categorie promozionali e quelle amatoriali. Si procederebbe così ad una sorta di esperimento, vedendo se sia possibile o meno su una pista rispettare le norme di protezione personale e distanziamento sociale che ci verranno fornite. A Trieste inoltre un'altra difficoltà è rappresentata dalla presenza di un unico impianto, il Grezar. Per quanto riguarda invece una possibile ripresa delle gare, credo che l'intera stagione sia a rischio».

Sfogliando l'album dei ricordi, quando hai iniziato ad allenare e su quali binari si è sviluppata la tua metodologia?

«Premessa. Fin dai 10 anni, seguendo le orme di mio cugino, ho praticato l'atletica, specialmente la marcia e poi il mezzofondo. Successivamente il lavoro, guai ai tendini e la costruzione della mia casa dalle fondamenta (10 anni ci sono voluti ma ne è valsa la pena) non mi hanno più permesso di fare un'attività di un certo tipo. Tuttavia fino all'inizio degli anni 2000 ho continuato a correre e parallelamente ha allenare qualche ragazzo. Anche perché in quel periodo storico con la chiusura del settore maschile del Cus, a Trieste nessuna società aveva un team assoluto.

E poi?

«Così come Marathon iniziammo a costruire una formazione assoluta e gli atleti li trovavo osservando le gare studentesche e interagendo con le società giovanili di allora. Da lì è iniziata la mia storia da allenatore. Il mio metodo d'allenamento l'ho costruito basandomi sulle mie esperienza personale da atleta, osservando il panorama dei corridori locali, in primis Michele Gamba con cui gareggiavo, e avendo ben in testa due concetti da coltivare all'apparenza semplici ma, credimi, difficili da far capire: ricercare la quantità e la continuità di allenamenti e essere consapevoli che ogni ragazzo ha bisogno di un vestito cucito su misura. Molti possono allenare qualcuno ma pochi sanno anche gestire qualcuno, curando l'aspetto psicofisico ». —

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