Gli ottant’anni di Nicola Pietrangeli, maestro di tennis e di stile

ROMA. «Sono un uomo molto fortunato. Quando arrivi a questa età gli anni cominciano a pesare. È antipatico, pensi che il tuo lungo viaggio stia per finire. Ancora cento di questi anni? Me ne basterebbero altri dieci...». Con la consueta autoironia così scherza Nicola Pietrangeli. L'11 settembre compirà 80 anni, un traguardo impegnativo ma non per lui, con la sua chioma bianca e gli occhi azzurri continua ad affascinare. «Ma non sono mai stato un playboy. Ai miei tempi era la divisa a farti diventare bello. Oggi vanno a conquistare una donna con un aereo privato, ai miei tempi c'era più merito». Eppure le donne hanno avuto un ruolo fondamentale nella sua vita: sua moglie, la madre dei suoi tre figli, e poi Lorenza e infine Licia Colò, la conduttrice televisiva, l'ultima sua conquista. È considerato il più grande tennista italiano di tutti i tempi. Al punto che sette anni fa la federtennis decise di intitolargli lo stadio Pallacorda, ex campo centrale del Foro Italico. È l'unico monumento o via o edificio dedicato a un campione ancora in vita. Tanto che ha sempre detto che quando morirà vorrebbe che le sue ceneri fossero sparse proprio lì dove ha giocato tante volte. Cinquanta le sue partite al Foro, ma il suo record mondiale è quello delle partite giocate in Coppa Davis: 164 incontri con 78 successi in singolo e 42 in doppio (con il compianto Orlando Sirola è stato per anni una delle coppie ormai entrate nella leggenda). Ma la sua fama più che ai due Internazionali d'Italia vinti (nel 1957 e nel 1961 con 22 partecipazioni) è legata soprattutto ai due successi al Roland Garros (nel 1959 e nel 1960). La seconda vittoria a Parigi insieme con quella in Cile in Davis nel 1976, questa volta però da capitano, «sono stati i due momenti indimenticabili della mia vita». A Parigi arrivò in finale altre due volte, nel 1961 e nel 1964, a Roma anche nel 1958 e nel 1966. Anche a Wimbledon i suoi risultati restano i migliori tra i giocatori italiani: 18 le sue partecipazioni con una semifinale disputata nel 1960, quando fu sconfitto da Rod Laver in 5 set (6-4, 3-6, 8-10, 6-2, 6-4). Nell'Australian Open raggiunse i quarti di finale nel 1957. Fu campione italiano consecutivamente dal 1955 al 1960. Dieci anni dopo agli Assoluti di Bologna la sconfitta contro Adriano Panatta fu un passaggio di consegne. «Non ho rimorsi - spiega -. Rimpianti sì e tanti. Chi non ne ha è un imbecille. Un esempio per tutti: avrei dovuto essere più furbo con i soldi». E ricorda la sua infanzia difficile a Tunisi, dove nacque l'11 settembre 1933 da padre italiano e mamma russa. A. «I ricordi belli? Sono tanti, comunque più di quelli brutti. Il bilancio è positivo». Da anni è l'ambasciatore del tennis italiano nel mondo, inimitabile nel suo stile, sempre accanto alla sua amica di sempre Lea Pericoli. Ma il suo tennis ormai appartiene al passato. «È cambiato il mondo non solo il tennis, e anche i montepremi...» scherza ancora. E sui campioni di oggi dice: «sono tutti bravi, ma sono onesti lavoratori della racchetta. Vanno in campo come andassero in ufficio. E credo che anche loro non si divertano molto»
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