Guai a rimanere tutti fermi nella terra di nessuno

Tra la “sfera di cristallo”, per antonomasia storico strumento atto a leggere il futuro e la “palla di lardo”, con la quale il compianto maestro di giornalismo Gianni Mura giocava con le italiche vicende sportive, questa rubrica tempo addietro optò per una via di mezzo: la palla di cristallo. Perché palla è sinonimo di gioco e sport e tra le tante in uso nei campi di gara, una volta di più oggi ne usiamo una tra le più piccole, quella da tennis, per cercare di leggere il tempo che viviamo.

Nel tennis, soprattutto quello amatoriale, ci son due modi o se preferite due tattiche con le quali affrontare una sfida: un gioco da fondo campo, attendista, basato sulla regolarità, dove speri più nell’errore dell’avversario che nella ricerca del tuo punto vincente ed un gioco d’attacco, dove invece ti avvicini alla rete, pressando il rivale per una volèe vincente.

Una sola cosa – ti insegnano i maestri – non devi fare: stare a metà campo (sulla linea di servizio, per intenderci), nella terra di nessuno, come viene definita. Perché lì hai più possibilità di sbagliare e di essere infilato da un passante del tuo avversario. Ecco, l’impressione è che si stia vivendo questo complicato e per molti versi drammatico momento della nostra vita, stando lì, sulla terra di nessuno. Indecisi se giocare in attacco o in difesa.

Stiamo (stanno, chi ci guida) scegliendo quella via di mezzo, quel cerchiobottismo per accontentare molti, col rischio poi (concreto) di scontentare tutti…

Viviamo il momento delle sofferte decisioni che fanno sempre più rima con contraddizioni. Un destino al quale pare difficile, quasi impossibile, sfuggire: economia o salute, libertà o costrizione, in un batti e ribatti di pareri e giudizi, interpretazioni e distinguo, negazionismi ed allarmi. Dove la curva dello stress segue di pari passo quella pandemica dei quotidiani bollettini in ascesa.

Lo so, c’è poco da giocare e scherzare, che la palla sia di lardo o di cristallo. Ed a volte può sembrare irriguardoso mettere sul piatto la pratica sportiva, il gioco, lo sport in genere, al cospetto di chi rischia il fallimento economico, la fine di una speranza, la cancellazione di un futuro. Tutto ci appare relativo, contradditorio, falsato, persino banale. Anche e soprattutto quando vorremmo parlare di un campionato, delle vicende delle nostre squadre, della gioia che ci procura vedere una partita, esultare per un successo piuttosto che per un bel gesto tecnico.

Stiamo rivivendo l’incubo dell’inutilità dei campionati, dove all’alba della nuova stagione qualcuno inizia già a guardare la sua fine, chiedendo il congelamento delle retrocessioni, perché mancano i soldi e la salute degli atleti: si moltiplicano i rinvii, piuttosto che le partite falsate da squadre vistosamente incomplete, con classifiche che paiono virtuali, al pari delle sfide giocate nel deserto di stadi e palasport vuoti, riempiti con trucchi grafici che fanno assomigliare il tutto ad una gigantesca play-station!

Ed eccoci allora, una volta di più, pronti ad applaudire il coraggio di chi nonostante tutto va avanti, non molla: che sia il professionista giramondo al ritmo di un tampone ogni tre giorni, al pari dell’amatore che non vuol saperne di rinunciare alla sua palestra e alla partitella tra amici, perché si sentirebbe un po' morire. Non di covid, ma di astinenza da sport, quello vero e praticato, non da telecomando in poltrona. Perché se è vero che continueremo a salire su bus strapieni e potremo forse girare tra fiere e mercatini natalizi, è altrettanto vero che nessuno potrà vietarci di provare a muoverci per sudare, correre, giocare, vivere.

E allora ecco che molti stanno scegliendo di giocare in avanti, attaccati alla rete, cercando quella colpo vincente che magari poi finirà fuori. Ma almeno ci avranno provato. Con coraggio! —

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