I velisti scendono a terra e si improvvisano gourmet

Tra i tanti che sbarcano in città vige la ricerca dei piatti triestini tradizionali Assalto a “Pepi S’ciavo” e alle osterie con un buon rapporto prezzo-qualità

di Furio Baldassi

TRIESTE

Boma, Genova, Winch. E poi cotto in crosta, cragno, porzina. Lingua, persino. La vela si sposa all’enogastronomia per tutta una serie di motivi. Primo, perchè chi va per mare dimostra un approccio con la vita tutt’altro che depresso. Bisogna amare la barca ma anche se stessi per mettersi a rollare per ore, aspettare il vento che talvolta non c’è proprio, portare il proprio “guscio” in porto. Navigare, insomma. Alla fine, dopo ore di equilibri precari, ribaltamenti, casini generali, l’approdo ti appare come Fantasilandia, il luogo dove dar sfogo a tutte le voglie represse tra un’onda e l’altra.

Ed è qui che subentra la fame. Atavica, smodata, totale. Se qualcuno, in periodo di Barcolana, ha visto i velisti a terra tra una regata e l’altra, sa di cosa stiamo parlando. Gruppi interi di Ravenna o di Cervia assaltano “Pepi S’ciavo” per mangiare dei piatti che a casa loro (e nemmeno nel resto d’Italia, se è per questo) non esistono. Il misto caldaia va a ruba, il cotto in crosta, anno dopo anno, strappa sempre applausi allibiti, le salsicce persino qualche lacrimuccia di goduria. A proposito, lanciamo qui una prece: la traduzione in italiano di cragno non è cranio. La salsiccia tipica di Kranj, Slovenia, ha già sofferto abbastanza nel passaggio tra lo sloveno e il triestino, sempre minimalista. Sfiora adesso la segnalazione a “Csi” quando sui vari menu leggiamo “salsicce di cranio”... Che dire, buon appetito?

L’alternativa, adesso che l’isola pedonale ha fatto del centro un continuum, rimane sempre “Siora Rosa”, in piazza Hortis, assolutamente strategica rispetto al lungomare e portatrice sana di quello che chi non è troppo avvezzo con le abitudini locali ama associare con Trieste. E il pesce? I velisti, in questo, sono micidiali. Perchè la frequentazione col mare li porta a essere sospettosi. Per dirla tutta: sanno quanto costa il pesce e non amano farsi fregare. Altamente improbabile, dunque, la loro frequentazione dei posti più quotati. Delle osterie, magari, sì. E dunque è il momento di “Angelina”, della “Tavernetta”, di “Salumare”, di “Navigando”, magari del “Nuovo Antico Pavone” che probabilmente ha il miglior rapporto prezzo-qualità delle Rive, o di ristoranti etnici come il giapponese “Michita” o il cinese “Grande Shangai”. Per chi, invece, ama stare un poco defilato rispetto alla mischia delle Rive, c’è un quintetto d’eccellenza ad aspettarli. Tra “Dino”, oste marchigiano votato al pesce, “Sandwich Club”, porcini e tartufo a nastro nel weekend, “Bennigans”, pub avviatissimo con piatti per tutti i gusti, “Ottaviano Augusto”, pizze indimenticabili e “Mario”, splendida, tradizionale osteria di pesce, c’è l’imbarazzo della scelta.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © Il Piccolo