Iapichino: «I sogni di Larissa e le nostre cene al messicano»
L’intervista
Ora che si fa sul serio e Larissa Iapichino, fresca di patente, è pronta per una medaglia tra i grandi agli Euroindoor di Torun, il padre Gianni ricorda quando le ha sentito dire «basta con la ginnastica, voglio fare atletica». Lui, ex astista, ha allenato la madre, Fiona May, e conosce la tensione prima di un appuntamento importante, ma sa anche che questa è tutta un’altra storia.
Dica la verità, preferiva la ginnastica.
«Ci sarebbero stati meno paragoni, ma io amo l’atletica e mi fa piacere l’abbia scelta. All’inizio non pensavamo affatto al lungo, saltava male, anzi lo trattava male, poi i pianeti si sono allineati. Comunque la sorella più piccola, Anastasia, si dedica al tennis e non cerco certo di farle cambiare sport».
Ha mai pensato di allenare Larissa?
«No, ce lo siamo ripromessi io e sua madre e poi abbiamo da subito individuato una guida tecnica molto valida, Gianni Cecconi, di cui mi fido. In più io e mia figlia abbiamo caratteri troppo simili che tendono allo scontro, sarebbe stato un percorso a ostacoli».
Come vive il confronto a distanza tra madre e figlia?
«Dal punto di vista atletico e fisico in realtà non esiste, sono due saltatrici molto diverse e ancora più assurdo è il parallelismo metrico. I salti che Fiona faceva all’età della figlia erano di un’altra epoca. Li faceva senza ancora aver trovato un tecnico specifico, con scarpe non adatte e senza un sistema a sostenerla. La madre ha raggiunto risultati indicibili in quelle condizioni. Larissa vive già da professionista».
Però sa bene che i paragoni ci saranno a prescindere.
«Larissa ne è consapevole, non vive la situazione come una tassa. Brucia le tappe e ha sviluppato un certo disincanto»
Nella testa da atleta non ci sono similitudini?
«Vedo la stessa grinta, la grande determinazione nella caccia al risultato».
Quando Larissa era piccola, lei approvava gli spot alle merendine?
«Li ho visti come una cosa carina, Larissa era spontanea e perdeva una giornata all’anno».
Quando lei e sua moglie vi siete separati ha deciso di lasciare il lavoro per stare con le bambine. Scelta non così consueta in Italia.
«Non l’ho mai vissuta come un sacrificio e ho sempre difeso la decisione, specie con i miei genitori che me la rimproveravano. Fiona aveva tanti impegni e i bambini hanno bisogno di un punto di riferimento. È stata una risposta pratica, logistica, concordata non ci vedo nulla di anomalo o coraggioso».
L’hanno mai chiamata mammo?
«Anastasia per un po’ ha incastrato babbo e mamma mi ha chiamato così. Lei ora vive con la madre, magari poi tornerà a stare con me, non è nulla di trascendentale: io stesso mi sono più volte definito mammo».
Con che reazioni?
«Qualche sorriso e battuta degli amici. Per me mammo non è una parola denigratoria e non capisco perché bisognerebbe sentirsi sminuiti. Esalta un ruolo importantissimo».
Non sottintende che sia un ruolo, appunto, da mamma?
«No, segna un cambio sociale: quello che prima si declinava solo al femminile ora ha significati più larghi. Poi oggi Larissa ha 18 anni, può pure guidare visto che tra il record italiano al coperto da 6, 91 metri e gli Euroindoor ha superato l’esame di guida».
Ora lei gestisce un’agenzia per giovani atleti?
«Una società per la gestione dell’immagine, sì. Siamo partiti da Larissa e ora cerchiamo talenti in crescita, come Dario Dester, 21 anni, specialista delle prove multiple».
Con il 6,91 Larissa si è anche qualificata alle Olimpiadi. Le ha spiegato cosa sono?
«Lo sa benissimo, sa anche che possono non essere le sue, che sono arrivate prima del previsto. Farà esperienza, anche se, certo, il 6,91 ti porta a guardare le tabelle, a fare considerazioni. Ma sono statistiche, possibilità, indizi, non pressioni».
Era più agitato durante le gare di Fiona May e lo è di più in quelle di sua figlia?
«Ero l’allenatore di Fiona ed ero coinvolto in prima persona, responsabile del risultato. Con Larissa posso vivere le mie emozioni. E la filmo quando salta, mi scateno dopo».
Avete un rito papà-figlia?
«La cena al messicano, ma ora non si può. Ci piace proprio e ci piace andarci insieme». —
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