Il volto del morente e il nostro pudore

Il mondo virtuale ha stigmatizzato la scelta con molte tonalità critiche, fino all’insulto. Come lettore, comprendo l’indignazione e magari anche lo scandalo suscitato da un’immagine che fotografa il volto terribile della morte senza introdurre filtri. Ma non fermiamoci alla superficie: la morte fa parte della vita, attenti al falso pudore

Come tutti, anch’io ho un ritegno di fronte all’immagine del morente. Forse anche una resistenza e un rifiuto. Guardo la foto del calciatore Piermario Morosini, morto sabato a Pescara mentre giocava, e ne avverto la crudezza. Non si doveva pubblicarla? Bisognava attutirne l’impatto emotivo, velarla con il necessario pudore?

Può darsi. Il mondo virtuale, che ormai accompagna ogni gesto pubblico, ha stigmatizzato la scelta con molte tonalità critiche, fino all’insulto. Si è gridato allo scandalo, e perfino peggio, quasi si trattasse di un’indecente speculazione.

Come lettore, comprendo l’indignazione e magari anche lo scandalo suscitato da un’immagine che fotografa il volto terribile della morte senza introdurre filtri. Non vorremmo vederlo questo volto così diretto. Vorremmo, piuttosto, venire aiutati a girare un poco la testa per avere almeno uno sguardo obliquo, una cornice simbolica che ci distanzi, un’esperienza di silenzio che ci renda pensosi, un assist di pudore.

Ma, detto questo, che è qualcosa – come dire – di “dovuto”, dovremmo pur chiederci che cosa ci impedisce di guardare in faccia il morente (in questo caso e in tanti altri, più o meno clamorosi, ricordo qui solo il viso insanguinato di Gheddafi che non era certo un giovane e innocente calciatore). È un’antica storia. Sempre la stessa? No, perché il volto del morente ha a che fare ogni volta con la società dentro la quale il morente termina la propria vita. E la nostra società esprime il proprio cinismo con l’ipocrisia del nascondere. È la morte stessa che è diventata impudica.

Tutti si danno da fare perché essa accada fuori dallo sguardo, quasi non avvenisse, quasi non fossimo “mortali”, e soprattutto – ecco il punto – quasi che la morte non appartenesse alla vita. Certo, durante un evento sportivo, la morte inattesa è tanto più scandalosa e ci rende muti, tuttavia il morire è sempre di per sé uno scandalo, qualcosa da rimuovere.

Penso allora che, per essere davvero “degni” di essere uomini, dovremmo cominciare a tentare a non distogliere lo sguardo, a guardare comunque in faccia qualcosa che è terribile ma appartiene essenzialmente a ciascuno di noi come un dato inamovibile della nostra realtà. Se il pudore, di cui ci ammantiamo, non passa per di qui potrebbe rivelarsi soltanto un falso pudore.

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