La Lazio ora è davvero di Reja Petkovic via «per giusta causa»

TRIESTE. La Lazio ha licenziato per giusta causa l’allenatore Petkovic e lo ha sostiutuito con Edoardo Reja. Non entriamo nelle clausole contrattuali né nei passi scelti dal club di proprietà di Lotito per spiegare la “giusta causa”. Si sa che il tecnico bosniaco ha firmato l’impegno per allenare dal prossimo luglio la nazionale della Svizzera; il funambolico presidente laziale non intende pagare gli stipendi a chi ha scelto legittimamente di andarsene a fine campionato ma non voleva nemmeno esonerarlo. Però bisognava dare una svolta alla squadra che non sta facendo bene in campionato. Reja è l’uomo giusto per la svolta.
Il tecnico di Lucinico torna sulla panchina laziale dopo un paio di anni. Aveva lasciato la Lazio perché contestato da parte dei tifosi dopo aver lavorato bene: perciò Lotito l’ha voluto nuovamente.
Senza proclami né atteggiamenti da divo, il popolare Edy Reja ha già cambiato aria nello spogliatoio della Lazio, cominciando a lavorare a Formello con tanta concretezza e tanto entusiasmo. Proprio quello che era mancato a Petkovic per motivare una rosa davvero importante ma senz’altro rassegnata.
Intanto il lavoro di Reja non è uguale per tutti: c’è chi deve lavorare più sulla forza e chi sull’agilità, i difensori hanno movimenti diversi dai centrocampiti e dagli attaccanti, i portieri devono esplodere i riflessi e diventare immensi tra i pali per chiudere l’orizzonte agli attaccanti. Appunto, si lavora in questo modo.
Lotito ha scelto un tecnico di buon senso, come tuta la lunga carriera di Reja attesta. L’allenatore goriziano vanta nel suo palmares quattro promozioni e attestazioni di stima che lo hanno accompagnato da Pescara a Vicenza, da Napoli portato in serie A dalla C fino alla Lazio, tirata fuori dalle sabbie mobili qualche anno addietro. Logica semplice: i difensori facciano i difensori, i destri a destra e mancini a sinistra, chi deve attaccare parta più vicino possibile alla porta avversaria. Elementare, no?
Non solo come allenatore Reja ha mostrato buon senso, ma fin da ragazzo ha dato prova di affidabilità arrivando a Ferrara, nella Spal di Paolo Mazza (che si affidava come talent scout a un affascinante scopritore come Lupo per battere il Friuli Venezia Giulia) assieme a Fabio Capello. I due – rimasti amici ancora adesso – facevano coppia di mezze ali con dietro a suggerire mosse e atteggiamenti Osvaldo Bagnoli, saggio allora per età e per aver frequentato nel Milan califfi come Schiaffino e Liedholm. I tre erano già registi in campo come lo sono diventati dopo in panchina.
Pochi gol nel carnet di Reja giocatore ma tanta corsa e recuperi a favore dei compagni. Cinque campionati con la Spal e altrettanti a Palermo dove ha condiviso molte partite con Enzo Ferrari, attaccante di ottima levatura. Dopo dieci anni ad alti livelli, la chiusura di carriera al Benevento e poi il lavoro di allenatore. Mai polemiche, mai proclami. Costretto a esonerarlo dalla panchina napoletana per dissidi con la piazza, De Laurentis lo salutò con i complimenti: «Reja sappia che a Napoli potrà tornare quando vuole, come a casa sua». Evidentemente l’uomo ha sempre dimostrato correttezza di rapporti anche nei momenti più difficili.
Momenti difficili come questi alla Lazio, dove ha trovato certamente una rosa di nomi importanti come forse mai nella sua carriera ma dove questi nomi sembrano senza il fuoco dell’entusiasmo. Senza entusiasmo non si cambia il corso degli eventi. Lotito ha puntato sull’uomo saggio e non su un emergente che non sempre è sinonimo di successo. Con Reja non si perde tempo né denari (pare che la cifra per sei mesi si aggiri sui 500 mila euro) ma si punta all’usato garantito.
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